Ricordare figure degne di questa e di altre vite, riguardando senza false distrazioni ideologiche alla Storia, mi sembra uno degli aspetti più gratificanti di chi scrive.

Di Alfonso Leonetti, nel necrologio riportato da Repubblica il 27 dicembre 1984, a due giorni dalla sua scomparsa, si legge: “Per decenni fu un comunista senza partito, e quando ebbe recuperato un posto da emarginato nel partito che aveva contribuito a far nascere, e far vivere nei tempi più difficili, rimase un comunista senza apparato, estraneo alla logica e alle leggi della burocrazia”. Così fu propriamente sintetizzata la sua figura di militante antifascista, di giornalista e scrittore nei controversi rapporti con la dirigenza del suo partito.

Alfonso Leonetti nacque in Andria nel 1895 da famiglia umile: il padre, mastro Savino, conduceva  tra gli stenti il lavoro di sarto  e  “per tagliare e cucire doveva faticare parecchio e non temere i calli alle mani che aveva in comune con i suoi  clienti zappatori”*.  Erano quelli di inizio Novecento, tempi durissimi per un comune agricolo ed arretrato come Andria; la maggior parte della popolazione viveva  le grandi diseguaglianze di un Meridione fatalmente ancorato alle vecchie strutture feudali; quelle che i Borboni (checché ne dicano certi post-nostalgici) avevano diligentemente contribuito a conservare, e che lo Stato  italiano stentava a rimuovere. Leonetti, quindi, visse la sua infanzia tra mille difficoltà e solo una straordinaria tenacia lo aiutò a proseguire gli studi dopo l’elementare, dividendosi tra l’apprendistato di dodici ore giornaliere in farmacia ( non retribuito ) e  gli esami. La sua irriducibile volontà di studiare e di farsi strada, non fu scalfita nemmeno quando la vita lo  inchiodò  ad una serie di gravi tragedie familiari che portarono malattie e morte nella  sua famiglia : “fu la tubercolosi a distruggere i miei, cominciando da mia sorella Nicoletta. Eravamo in otto e si viveva tutti insieme, in uno stanzone detto lamione”*. In pochi anni morirono le quattro sorelline e subito dopo toccò al padre che costituiva l’unica possibilità di  sopravivenza della famiglia.

Tra tutte queste ed altre tristi vicende e la estrema povertà costantemente presente nella sua vita, Leonetti  riuscì comunque a completare gli studi superiori.

All’epoca, il Caffè Minerva**, nella piazza principale di Andria, era il ritrovo in cui studenti, insegnanti e progressisti si riunivano  per  discutere  di libertà, di giustizia, di anarchia e di rivoluzioni, magari senza poter pagare il conto al  tollerante ed illuminato proprietario, Antonio Aloisi. È lì che il giovane Leonetti, come lui stesso ha raccontato, “uscì dal bozzolo delle letture per andare all’aperto verso la mischia, aiutato dall’incontro con altri giovani che avevano le stesse esigenze di chiarezza e orientamento”*. 

Prima e dopo la grande guerra si svolse l’Odissea di Leonetti: a Torino per lavorare da istitutore; quindi iniziò la sua attività politica e di giornalista a Milano con l’Avanti e più tardi come capo redattore dell’Ordine Nuovo diretto da Gramsci. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista nella giornata storica di Livorno. Durante i primi anni del fascismo fu picchiato e processato due volte, ed infine a Milano  condannato. Riuscì ad evadere  e riprendere l’attività di propaganda antifascista, iniziando le pubblicazioni dell’Unità, quotidiano comunista. La violenta repressione fascista lo costrinse, nel 1926, a prendere la via dell’esilio in Francia ove continuò l’attività antifascista. Coerente con le sue idee trotskiste, si scontrò più volte con la linea stalinista dominante del Partito, fino ad esserne espulso. Per Leonetti fu l’ennesima sfida e l’ennesima ripartenza della sua vita che non gli impedì di continuare con successo il suo lavoro di giornalista e di diffondere il suo pensiero. Quando la Storia gli ha dato ragione, per lo meno sulle valutazioni della  disastrosa politica staliniana, gli si riaprirono le porte del Partito; ma Leonetti pur accettando l’invito, preferì rimanere sempre sulla soglia.

La sua scomparsa non è stata mai celebrata dall’apparato, attento sempre nell’emarginare il pensiero libero, e mai nel riconoscere il valore e le grandi qualità umane di chi lotta fino in fondo per difendere gli ideali di libertà.

Anche la sua Città lo ha dimenticato facilmente: non vi è nemmeno un vicolo  o una targa in suo ricordo. La lealtà e l’onestà non sono monete di facile scambio tra i politici.

*A. Leonetti, Da Andria contadina a Torino operaia, Argalia Editore, Urbino 1974

**  vedi  in rubrica omonima testo di Andrea Cloasuonno

Aldo Tota


[Foto: salvatoreloleggio.blogspot.com ]