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C’è un tempo per tutto. Così il frutto ha bisogno della sua ora

Dalle nostre parti è tempo di tagli. Al discernimento sui tempi e sulla maturità dell’uva, segue la vendemmia. E ad una passeggiata nei vigneti prima che sia troppo tardi segue la suggestione. E poi la riflessione.

L’attesa è finita. La bellezza è perfetta, come quella di Israele ripulito, cresciuto, curato da Dio al capitolo 16 del libro di Ezechiele. Ogni cosa sembra apparecchiata, pronta per qualcos’altro, come se non dovesse né potesse finire tutto lì, come se non fosse questione di pura ammirazione e ci fosse altro. Mi viene in mente uno dei concetti chiave del quarto Vangelo: l’ora. Il Figlio si consegna quando giunge l’ora; non prima, non dopo. Non cerca la sofferenza né va a suicidarsi; si assume, semplicemente, la responsabilità di restare radicato nella sua storia e nella sua terra, senza fughe in altre esistenze ideali. E questa è l’unica vera libertà.

C’è un tempo per tutto. Così il frutto ha bisogno della sua ora, quando la vite suggerisce di mettere mano alle forbici perché quella bellezza vuole osare, è aperta al cambiamento e pronta alla novità. In campagna, nella luce calda e nella brezza di un pomeriggio inoltrato di settembre, mi convinco definitivamente della bontà dei tagli opportuni e della necessità di andare incontro con coraggio ai mutamenti. Nella fissità si vive indubbiamente più tranquilli; quando niente muta, tutto è più gestibile. Ma di discernimento si vive e di mancati tagli si muore, ci siamo già detti.

Un torchio attende l’uva: ci passerà dentro in anima e scorza. Il lavoro dell’uomo muoverà questa macchina antica, a suon di ingranaggi metallici che sempre hanno bisogno di olio. Ne uscirà succo d’uva, dolce, buonissimo. Da bambini stavamo lì pronti con i bicchieri per rubarne un pò, dopo i salti della pigiatura in stivali più grandi di noi: era la nostra festa. Lo è ancora, in modo differente.

«È compiuto» (Gv 19.30) si potrà dire alla fine, quando l’uva sarà spremuta fino all’ultima goccia. Ma nulla andrà perduto veramente, perché quel succo sarà mosto. E il mosto vino, se “parte”: «il mosto è partito» è più che una constatazione contadina circa l’avvio della fermentazione; è un codice di vita, la crittografia della fatica ricompensata, del compimento di ogni epilogo che sa farsi prologo.

Nessun torchio avrebbe senso senza la speranza: del prodotto finale, della gioia di aver dato senso ai “capasoni” del 1903, della certezza di aver organizzato ancora una volta, incastrando gli impegni e convertendo le distrazioni di tutti, una grande festa di famiglia, un appello all’essenziale da cui proveniamo e verso cui ci muoviamo. Ogni vendemmia, ogni taglio, ogni sacrificio, ogni mutamento ha senso solo in questo orizzonte di speranza, lì dove la vita si staglia come certezza che non passa e il sacrificio e la sofferenza si ridimensionano nella loro accidentalità.

Per strade e cantine, da ora a novembre, «l’aspro odor dei vini» dominerà incontrastato nel nostro mondo olfattivo. A ricordarci che la vendemmia forse non è più un’attività di sussistenza, ma resta un rito irrinunciabile, l’anello di congiunzione con le nostre radici, un gesto di memoria, forse una pratica per espiare la colpa di aver inquinato la terra ricevuta in eredità e per affidare al cammino dell’uva, dai tralci al torchio, la sofferenza di non poter consegnare alle nuove generazioni qualcosa per cui valga la pena restare al sud.

Si, perché a volte non sottrarsi alla propria storia significa, paradossalmente, andar via. Fa niente. Se sapremo trarre vino nuovo da queste inevitabili metamorfosi dei tempi avremo dato senso al torchio delle scelte. E questo vale ovunque e per ciascuno, nella vendemmia di ogni giorno.

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2 COMMENTI

  1. Cara Michela, permettimi la confidenza, come non rimanere incantati dalla tua visione bucolica, passeggiando tra i vigneti e guardando l’uva giunta a maturazione che ha bisogno di essere tagliata, quando è la sua “ora”, per essere pigiata, diventare mosto e poi vino. Bella la metafora del taglio dell’uva, accostato al taglio “opportuno e necessario per andare incontro e con coraggio ai mutamenti” della nostra vita. Ma permettimi di rilevare che bisognerebbe cambiare la nostra cultura enoica, troppo ancorata al passato, guardando all’oggi in cui la coltivazione della vite non è più rimunerativa per gli agricoltori, che produce inquinamento del prodotto e dei terreni per l’uso di pesticidi e anticrittogamici, che il vino mina la salute delle persone per la componente dell’alcol, sostanza cancerogena che può creare dipendenza, e crea disastri nelle famiglie e nella società degli adulti e dei giovani. Non basta l’appello alla “moderazione”, che è una misura soggettiva e mai priva di rischi con qualsiasi quantità di consumo, ma bisogna una politica di informazione indipendente medico scientifica sull’alcol e ci si impegni a diversificare le colture per non dover distruggere il prodotto invenduto.

  2. Carissimo, grazie a te per l’attenzione. Hai fatto bene a condividere ciò che sentivi e…sinceramente sono d’accordo. Ho scritto questo articolo tutto d’un fiato dopo giorni stupendi, trascorsi nella vigna dei miei ricordi più cari. Ma le problematiche che hai evidenziato sono oggettive e richiedono discussioni ben oltre questo spazio. Se hai notato nel testo parlo dell’incapacità dei più adulti, di quelli che a un certo punto hanno preso in mano la terra, di consegnarci prodotti buoni e di rispettare la terra stessa. E’ una piaga, soprattutto da queste parti: intere famiglie decimate dai lutti per l’inquinamento di una fabbrica di morte. Aria, acqua e suolo ci stanno togliendo la speranza. Speriamo di riuscire noi a cominciare qualcosa di buono, almeno a coltivare emozioni e sentimenti positivi. Perché, contrariamente a quanto dicono i luoghi comuni, c’è una portata razionale nelle emozioni, nei sentimenti, nel pathos che può aiutarci a interiorizzare meglio le leggi, le norme, l’etica. Che la cum-passione per la nostra terra non sia mai a-patia, ma ci faccia sempre sentire parte di un progetto di bene comune che ha bisogno di tutti. Saluti e grazie ancora infinitamente!

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