
Un profondo vuoto esistenziale dietro tragedie come quella di Andria
La belva colpisce a sangue freddo. Dopo una colluttazione infarcita di pugni, calci, infamie. Cinicamente. Spregiudicatamente. Immotivatamente. Guardando negli occhi la vittima, senza un briciolo di pietà. Dov’è ti sei nascosta, umanità? Perché sei fuggita a gambe levate? La scelleratezza non ha nessun appiglio a cui aggrapparsi, solo un incolmabile, inesauribile vuoto esistenziale la sorregge.
Crimine. Orribile. Efferato. Mostruoso. Quello eseguito ad Andria. Un coltello (un taglierino?) fa irruzione in un corpo inerme. La lama affonda e ne squarcia il torace. Un fiotto di sangue, che fino a qualche attimo prima scorreva fluido irrorando, dando ossigeno, alimento a miliardi di cellule, incredulo schizza irruente. Caldo. Rosso. Riscalda e colora canottiera, mutande, camicia, pantaloni. Schizzi lordano l’asfalto ed impastano polveri sottili.
Fitta al cuore. Lancinante. Inaspettata. Sgomento negli occhi increduli della vittima. Nel fiore degli anni, nella pienezza della sua energia, nella gioia del suo entusiasmo giovanile. Nel calore dei suoi affetti. Un uomo, quasi un adolescente, di 28 anni. Istintivamente si porta le mani al petto. Una smorfia atroce si disegna sul viso, un rantolo di sofferenza si fa strada a fatica. Il corpo si piega su se stesso. Corsa impazzata all’ospedale. Sarà vana. Stramazzerà, il povero Cristo.
Un bambino di pochi anni ed una donna assistono inebetiti al feroce battibecco e poi alla brutale aggressione fisica. Il piccolo piange, la mamma si porta le mani nei capelli, urla strazianti fendono l’aria. E pensare che la famigliola era uscita per fare due passi, delle compere, per salutare i nonni. In un baleno la serenità, la gioia del vivere si trasforma in una tragedia. Allucinante.
La spietata esecuzione, Il dolore, l’incubo d’ora in poi incomberanno sulle due fragili creature, non li abbandoneranno mai fino a quando le palpebre si chiuderanno definitivamente. Saranno soli, orfani di padre e di marito. Trascinarsi nella vita sarà molto più faticoso per loro.
Il presunto assassino, un uomo di cinquant’anni, viene fermato dalla polizia e condotto davanti al pubblico ministero. Ammette di aver avuto un diverbio con l’aggredito per una mancata precedenza, ma nega di aver commesso l’omicidio. Sarà la magistratura ad appurare la verità.
La notizia fa scalpore. In un attimo è sulla bocca di tutti. Le redazioni dei quotidiani cartacei entrano in fibrillazione, mancano poche ore alla chiusura, e la notizia è ghiotta. Subito si sciorinano commenti nei bar, sulle vie, in piazza. In televisione, sul web.
Lo sdegno e l’indignazione sono sulla bocca di tutti. Anche la commozione, sia pure a fatica, si fa strada, pensando alla giovane età della vittima ed all’immane vuoto affettivo dei suoi congiunti. “Di giorno in giorno il mondo va sempre di più a scatafascio” vien detto. Si insiste sul fatto che il presunto aggressore sarebbe un pregiudicato. Si invoca un inasprimento di pene, come se da sole fossero un toccasana. Si ripete che non si può uccidere per una banale questione di precedenza, …come se esistessero dei validi motivi per uccidere.
Ebbene, in un simile drammatico frangente occorrerebbe recuperare una certa tranquillità e rivolgersi delle domande. Il vuoto esistenziale riempie solo l’animo dell’aggressore, o sta diventando la cifra dominante in ciascuno di noi, sia pure con differenti accentuazioni? Non si dovrebbero riscoprire i valori dell’amore, del rispetto, della comprensione, della pazienza, della solidarietà, della giustizia sociale, dell’attenzione verso tutti gli esseri animati ed inanimati? Incarnandoli nelle condotte quotidiane di ciascuno e nella vita organizzata, quando il mare è placido o mugghia contro la scogliera.
Non è arrivato il momento di fare delle sane autocritiche? Quando la smetteremo di lasciarci travolgere dalla frenesia dell’uso compulsivo dell’automobile? Esiste anche la mobilità leggera fatta di biciclette e di passeggiate a piedi. Fino a quando saremo schiavi dell’uso ossessivo degli smartphone? Non siamo diventati un po’ tutti quanti fotocopie di altri, per la folle corsa al successo, all’apparire, per il conformismo dilagante ed il consumismo spietato?
Se riusciremo in un giorno ravvicinato a guardare negli occhi la persona che abbiamo di fronte (l’ammalato che soffre, il vecchio che è solo, il migrante che fugge per disperazione dalla propria terra, il disabile che guarda la sua faticosa quotidianità dall’altezza della carrozzella, il disoccupato in preda alla disperazione, l’operaio senza tutele sul lavoro, il bambino che ha diritto ad u futuro sereno, la libellula, la calendula il ciottolo di fiume che hanno una dignità ed esigono, inascoltati, il riconoscimento dei loro diritti…) saremo salvi.
Non è sufficiente un cambiamento politico, culturale ed economico. Occorre un nuovo orizzonte antropologico. Senza un’inversione di marcia a 180° episodi come quello di Andria e catastrofi umane e naturali di inaudita violenza saranno sempre più incalzanti fino a scavare l’abisso nel quale precipitare. O ci salviamo tutti o non sopravvive nessuno.