Ma non può essere per sempre e, soprattutto, non può essere così

Perché le cose non vanno bene: ci si ammala e si muore ancora, si muore troppo. Ma se la morte ti tocca e ti tocca al doppio, a distanza di pochi giorni, strappandoti gli affetti con una violenza inaudita, ti fermi ancora prima che lo faccia l’ennesima firma del governo.

Fermarsi significa arrestare il movimento. Muoversi presuppone sempre una fatica, un’instabilità di fondo, un’iniziativa, uno squilibrio, un cambiamento, una novità, un investimento: ci si ferma quando non si hanno più le forze per affrontare tutto questo. Così, se la morte e la morte per Covid ti tocca da vicino, ti fermi e piangi, fino a consumare le lacrime.

Certo, devi andare avanti, soprattutto al lavoro. Ma anche se ti muovi, ti senti fermo dentro. Ti da quasi fastidio vederlo il movimento. Ogni ferita si allarga misteriosamente, ogni cosa irrisolta diventa insostenibile, ogni nervo scoperto si ipersensibilizza. E cerchi posti tranquilli, lì dove tutto possa assecondare il tuo esser fermo.

Può diventare pericoloso. In quel momento serve una scrollata, un abbraccio, una pacca, una parola, anche una minima soddisfazione che solletichi la speranza. Hai il diritto di fermarti quando stai soffrendo, ma non può essere per sempre e, soprattutto, non può essere così. Ti ci vuole una cosa: la fermezza.

La fermezza è la stabilità che ti fa muovere, è la bussola nello smarrimento, è la solidità che ti fa correre agile, è la decisione attorno a cui si ricapitolano gli attimi spezzettati dalla sofferenza. Per cui, se vuoi fermarti, fermati pure, ma non perdere la fermezza. Aggrappati ad essa: è la roccia da cui sei stato tagliato, è la materia dura che ti ha portato fin dove sei adesso. In poche parole: non mollare. In altre parole: fermati, ma con fermezza. Nella vita, forse, più della forza occorre fermezza. Perché la forza a volte, inevitabilmente, viene meno; la fermezza no. Perché essa non la trovi solo in te. Essa è incisa in quello che ti circonda. Te la raccontano le cose che hai faticosamente costruito, che ti chiedono di andare avanti non perché sono crudeli, ma perché proprio non sopportano il tuo crollo: la tua scuola, i tuoi alunni, i tuoi lettori, i tuoi amori, la tua casa. Te la racconta quel bonsai dell’Ikea che hai curato con poco e sta più in salute di te: piccolo piccolo fa la sua superba figura all’ingresso.

Ma soprattutto te la racconta chi se n’è andato: i suoi sacrifici, la sua fame durante la guerra, i suoi riti, tutto scorre nel tuo sangue.

Se, allora, ci tocca tornare in casa, ci tocca fermarci ancora perché un nuovo decreto è stato firmato, oppure ci siamo già fermati da qualche settimana perché stiamo vivendo un periodo particolarmente difficile, ricordiamoci della fermezza, invochiamola, cerchiamola, teniamocela stretta. Ci aiuterà, ancora una volta, a reinventarci, a restare saldi e a sognare, a stare fermi nel modo giusto e a muoverci nei limiti del possibile, a lottare e a sperare, ad andare sfacciatamente avanti.


FontePhotocredits: Michela Conte
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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)

1 COMMENTO

  1. Parole sagge… Di chi ha dovuto combattere a distanza la perdita di affetti cari e importanti nella sua vita! Grande Michela!

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