
A proposito di Filosofia digitale, a cura di Fabio Ciracì, Riccardo Fedriga e Cristina Marras e (Mimesis 2021)
Com’è noto, ma fatto che spesso si dimentica, il pensiero filosofico ha trovato le sue radici con la specificità che lo caratterizza nelle agorà delle città greche e della Magna Grecia dove, oltre agli scambi commerciali, ci si adunava per partecipare alle animate discussioni che vedevano coinvolti gli intellettuali dell’epoca engagés a chiarire, come dice Platone nel Fedone, da una parte le condizioni per rendere ‘stabili’ (episteme, conoscenza dai fondamenti solidi) e meno incerte le conoscenze matematiche ereditate dai vari popoli del Mediterraneo e dall’altra ad utilizzare tali risultati nell’ambito più in generale della gestione della polis; questo triplo ‘miracolo del mondo greco’ e cioè lo sviluppo contestuale della matematica come scienza, della filosofia e delle idee democratiche, come lo ha chiamato Michel Serres, ha rappresentato un evento di verità non comune dalle enormi portate in vari ambiti anche se limitato a poche aree geografiche per poi diventare un imprescindibile patrimonio dell’intera umanità.
Oggi, grazie alle nuove tecnologie e non solo, il mondo intero è diventato un’agorà, o meglio un insieme di agorà interconnesse tali da far parlare di ‘rivoluzione informatica’ che sta costringendo la stessa ricerca filosofica più avanzata a ‘tornare a fare i conti’ con queste nuove e inedite forme di agorà per capirne le dinamiche, come si propongono di fare da diverse prospettive Fabio Ciracì, Riccardo Fedriga e Cristina Marras curatori del volume Filosofia digitale (Milano-Udine, Mimesis 2021), apparso non a caso nella collana ‘Quaderni di filosofia’, dove viene data anche voce ad alcuni dei maggiori esperti in tale settore a livello mondiale. Ma è bene precisare che già a partire dai primi anni del secolo in varie parti del mondo e in Italia sono sorti centri e gruppi di ricerca, da parte per lo più di giovani ricercatori, che hanno dato vita alla Digital Humanities con la stessa istituzione di insegnamenti quali ad esempio ‘Informatica umanistica’ e con la formazione di Associazioni come l’’Associazione di Informatica Umanistica e Cultura Digitale’ a livello italiano e a livello internazionale ‘European Association Digital Humanities’ e ‘Alliance of Digital Humanities Organization’; sono stati già organizzati in questi ultimi anni diversi convegni e nel gennaio 2022 ne è previsto uno a livello internazionale a Lecce ‘Culture digitali. Intersezioni: filosofia, arti e media’ organizzato dal locale Centro Digital Humanities, fondato e diretto presso l’Università del Salento da Fabio Ciracì che da diverso tempo, oltre a studi sulla presenza di Arthur Schopenhauer nella filosofia italiana di fine Ottocento, è impegnato su tale frontiera ritenuta cruciale per le stesse sorti del discorso filosofico.
Il volume Filosofia digitale ci offre, come ogni volume a più voci, una pluralità di prospettive su tale nuovo campo di studi, ritenuto più che mai bisognoso di un approccio filosofico a largo spettro per ‘pensare l’infosfera’ nelle diverse articolazioni dagli aspetti procedurali a quelli di carattere etico e antropologico che ogni tecnologia porta con sé, anche per superare quelle posizioni che oscillano dalla Scilla degli apocalittici alla Cariddi degli integrati; i vari saggi, pur esponendo punti di vista diversi coll’affrontare questioni specifiche e con l’analisi di significative esperienze che stanno maturando in questi ultimi anni, si caratterizzano innanzitutto per l’esigenza di fornire le basi di un nuovo umanesimo digitale in grado di mettere da parte quelle tentazioni egemoniche tipiche di ‘ogni pretesa fondazionale sia ‘filologica, informatica, linguistica e computazionale’. I vari scritti sottolineano ‘la complessità della rivoluzione digitale’, ne chiariscono le modalità d’essere e prendono in esame la digitalizzazione delle pratiche di registrazione informatica, l’ordine di archiviazione dei dati, la ‘diffusione disintermediata della conoscenza’ che chiamano “in causa il discorso filosofico come riflessione generale ordinata e sovraordinata al particulare delle singole discipline”.
Tale atteggiamento epistemologico che ha trovato nel pensiero complesso il punto di partenza, condiviso dai curatori e da altri, si rivela oltremodo proficuo nell’evidenziare ad esempio quello che viene chiamato ‘ecosistema digitale’ con l’esigenza una ‘filosofia plurilingue e multiprospettica’ in grado di superare le semplificazioni ‘materiale/digitale, ‘scienza/tecnologia, ‘reale/virtuale’ (Cristina Marras), di arrivare ad avere una maggiore consapevolezza del potenziale cognitivo implicito nei paradigmi digitali grazie alla tecnologia Wiki nei processi di formazione e di archiviazione del sapere; dall’interazione tra filosofia e digitale prendono nuova piega il rapporto tra memoria e responsabilità, la classificazione dei saperi e di quelli nuovi generati, il problema della verità e della post-verità (Luigi Catalani). Dopo lo scritto di Riccardo Fedriga che si interroga sul significato degli ‘eventi digitali’ nel cercare di definire lo statuto degli ‘oggetti digitali’, nel mettere sul tappeto la cruciale problematica dei rapporti tra finzione e realtà, dei confini tra libertà e determinismi digitali, tra ‘realtà aumentata e realtà virtuale’, molto interessante si rivela il saggio di Stefan Gruner, Digital Humanities and Trans Humanities, che si pone la domanda se i saperi umanistici con i loro concetti-chiave come interpretazione, apprendimento, memoria siano in grado di rispondere adeguatamente alla sfida delle tecnologie senza essere vittime del determinismo digitale e senza arretrare.
Fabio Ciracì a sua volta, nel saggio Per una teoria critica del digitale: fake-news e post-verità alla luce della logica della verosimiglianza, si pone una serie di interrogativi sia epistemologici che di natura etico-politica, una volta chiarito che le Digital Humanities costituiscono un ambito del sapere molto complesso dove i saperi umani sono strettamente collegati con le scienze informatiche sia nell’aspetto applicativo e sia nella sfera teoretica. Gli stessi strumenti digitali condizionano la ricerca filosofica e vengono considerati veri e propri ‘apriori storico-tecnologici’ per il ‘potere trasformativo’ che hanno sui concetti-chiave di verità e non verità; in tal modo lo studioso salentino ci offre in base ad un approccio interdisciplinare quello che si potrebbe chiamare un piccolo trattato di socio-epistemologia del digitale dove si analizzano le condizioni contestuali dell’infosfera (information overload e mancanza di autorevolezza), la struttura dei social media e poi la stessa ‘struttura logica della plausibilità’ tipica della diffusione di fake-news. In tal modo si allontanano le tentazioni fondazionali sempre in agguato, come ci ha insegnato il pensiero complesso, e lo stesso discorso filosofico viene a prendere una forma di ‘razionalismo sperimentale’, come lo chiamava nei primi anni del ‘900 Federigo Enriques, nel senso che è frutto di una esperienza teoretica sperimentale con la presa in carico di fenomeni reali e dei risultati dei case studies, quasi una ‘metis o intelligenza pratica’ in azione continua nell’avere a che fare con le sfide della ‘realtà aumentata’, con ‘l’ontologia dell’autorialità sul web’, la post-verità, la ‘mappatura ontologica del digitale’.
Per questo Ciracì è dell’avviso che quelle che chiama ‘architetture digitali’ dovrebbero essere d’aiuto nel permettere agli uomini di ‘andare dove vogliono e non dove devono andare’; e il pensiero filosofico in questo si rivela insostituibile per non essere eterodiretti e nel fornire chiavi di lettura per superare in primis ‘la frammentazione e la granularità del sapere in ambiente digitale’. In tal modo si ritiene indispensabile operare una specie di riconversione in senso eco-cognitivo del mondo della linfosfera per liberarlo dai determinismi latenti con l’utilizzare il modello eco-cognitivo propostoci da Lorenzo Magnani e per arrivare a forme di collaborazione e di riflessione per una conoscenza condivisa; per questo Ciracì arriva a delineare la necessità di un nuovo compito per gli operatori in campo umanistico, quello di diventare Umanisti digitali, nuove figure che devono essere gli ‘architetti della scelta’ nel fornire gli strumenti necessari per permettere di districarci nel ‘mare delle informazioni’ e aiutarci a “separare il grano dal loglio, a distinguere la buona dalla cattiva informazione”.
L’idea di ‘umanesimo planetario’, proposta da Edgar Morin e Mauro Ceruti, può essere completata da tale ‘umanesimo digitale’ che, nel prendere atto del fatto che la realtà in cui viviamo è sempre più ‘un prodotto negoziatore fra biologia e tecnologia digitale’, è più orientato a capire i criteri di verità e i sistemi di persuasione che agiscono nel complesso mondo dell’infosfera, a distinguere il reale dal falso; sulla scia dell’economista Herbert Simon che parlava di ‘sovraccarico informativo’, Ciracì ci avverte che l’informazione non è più cercata, ma ‘si riversa nella nostra razionalità limitata’ che deve confrontarsi con l’azione trasformativa del digitale e nello stesso tempo non farsi travolgere. La ‘Filosofia digitale’ così non è solo un nuovo capitolo del pensiero filosofico che, come diceva Hegel, ha il compito primario di tradurre il presente in concetti, ma anche un modo di essere e di esercitare una continua vigilanza di demistificazione del falso là dove esso si annida; e mutatis mutandis e post litteram, essa crea le condizioni di base per ‘riconoscere’ le varie forme di tirannia così come disse Zenone al tiranno di Siracusa che gli chiese prima di mandarlo a morte ‘cosa gli era servita una vita dedicata alla matematica e alla filosofia’. E per parafrasare lo storico Gaetano Salvemini a proposito della democrazia, sta a noi scegliere tra il ‘purgatorio’ di una linfosfera in cui siamo noi a decidere o la ‘dittatura’ del digitale dove rischiamo di essere eterodiretti.a