Francesca Di Bari è una cittadina del mondo che ha tratto esperienza linguistica e letteraria da Elena Ferrante, prima, e Chiara Lagani poi. La traduzione che le ha offerto la prestigiosa penna di Ann Goldstein arricchisce ulteriormente un lavoro incentrato su valori relazionali e sociali.

Ciao, Francesca. Perché hai deciso di incentrare la tua tesi di laurea magistrale su Elena Ferrante e di soffermarti, in particolare, sulla quadrilogia della scrittrice?

La mia avventura nei meandri del femminile ferrantiano è iniziata all’Università per Stranieri di Siena. Dopo essermi laureata in Lettere, curriculum “Cultura teatrale” e dopo un’esperienza di 18 mesi negli Stati Uniti – periodo essenziale di riflessione – ho deciso di frequentare il corso di Laurea Magistrale in Scienze Linguistiche e Comunicazione Interculturale, curriculum “Didattica della lingua italiana a stranieri”. In quasi tutti i corsi di laurea sono presenti degli esami a scelta vincolata e durante la compilazione del piano di studi la mia attenzione si è focalizzata sul corso di Letterature comparate, avente come oggetto d’esame la comparazione di due testi di Ferrante e “Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout, tenuto da Tiziana de Rogatis, professoressa di Letteratura italiana contemporanea presso, appunto, l’Unistrasi.

Ho letto, quindi, “I giorni dell’abbandono”, secondo libro della scrittrice, pubblicato nel 2002. La lettura di quel libro ha scatenato in me una serie di emozioni contrastanti. Ricordo di essere stata, allo stesso tempo, affascinata e disturbata dalla figura della poverella, una donna appartenente all’infanzia napoletana della protagonista Olga. La poverella viene lasciata dal marito per un’altra donna e il suo dolore è visibile nella metamorfosi fisica che la caratterizza: diventa molto magra come “un’acciuga” e alla fine si ammazza come se l’unica sua ragione di vita fosse stata l’avere un uomo, come se la forza un tempo posseduta dipendesse interamente da lui. La poverella rappresenta la categoria di donne subalterne dalle quali Olga vuole discostarsi, è una figura essenziale all’interno del romanzo perché è protettiva, sempre presente ed è associata non solo all’abbandono e alla morte, ma anche alla salvezza e alla maternità (il tema materno è una costante in Ferrante). Il passato delle donne subalterne, però, non va modificato, non va allontanato, va riconosciuto perché è la storia del dolore di tutte le donne e solo riconoscendolo è possibile superare la caduta in quella che Ferrante chiama “Frantumaglia”.

Tornando alla domanda iniziale, dopo “I giorni dell’abbandono”, ho letto “La figlia Oscura” del 2006 (il mio preferito in assoluto) e dopo aver sostenuto l’esame ho continuato ad esplorare la scrittura di Ferrante con “Amore Molesto”, il primo romanzo pubblicato nel 1992, anno della mia nascita – mi piace associare l’anno della mia nascita alla prima pubblicazione, cioè alla nascita di Ferrante come scrittrice –, il passaggio alla quadrilogia de “L’amica geniale” è stato consequenziale, naturale e ovvio per me. Non potevo, dunque, accantonare quei libri, quella passione sfrenata, quelle emozioni provate e, in accordo con la professoressa – diventata ormai relatrice della mia tesi di laurea – è nata l’idea di analizzare le opere di Elena Ferrante e di comparare, in particolare, la quadrilogia con la trasposizione teatrale “Storia di un’amicizia” di Chiara Lagani, della compagnia Fanny & Alexander, partendo da oggetti tipicamente infantili e affascinanti: le bambole, le quali – citando Ferrante stessa – «non sono solo la miniaturizzazione dell’essere figlie», ma «ci sintetizzano come donne, in tutti i ruoli che il patriarcato ci ha assegnato» (fr 207). L’amicizia tra Lila e Lenù, protagoniste dei quattro romanzi, nasce proprio in seguito alla perdita delle loro bambole, Tina e Nù, che scomparendo e poi riapparendo alla fine del quarto libro Storia della bambina perduta, aprono e chiudono il racconto. Dietro Lila e Lenù ci sono tutte le donne dell’universo di Ferrante, donne attraversate da sentimenti positivi e negativi e io non potevo non parlarne.

Quali differenze esistono tra la serie di romanzi di Elena Ferrante (da cui la trasposizione cinematografica) e la versione teatrale della drammaturga ravennate Chiara Lagani da cui hai tratto il saggio?

Il progetto della compagnia Fanny & Alexander parte dalla scomparsa di Lila, come nel libro. Lo spettatore viene subito catapultato nel cuore del romanzo: Lila e Lenù gettano le loro bambole nello scantinato di don Achille e tentano invano di recuperarle.

La prima e sostanziale differenza è visibile immediatamente: in scena sono sempre presenti le figure di Chiara Lagani e di Fiorenza Menni, le quali si rubano vicendevolmente le battute o le pronunciano contemporaneamente; nel secondo e nel terzo atto, però, in queste due figure convengono tutti gli altri personaggi del ciclo. L’elemento maschile visita e abita i loro corpi attraverso il dispositivo dell’eterodirezione.

La drammaturga, inoltre, associa la figura delle bambole ai morti, idea nata dalla lettura di un verso (Da parte loro nessuna domanda imbarazzante) della bellissima poesia di Maria Wisława Anna Szymborska “Intrighi con i morti”; poi immagina e rende concreta sulla scena la presenza delle bambole nello scantinato e questa parte è totalmente assente nel romanzo. Impaurite e desiderose di allontanarsi da quel luogo buio e terrificante, da quell’inferno, si muovono meccanicamente come automi, parlano in versi e vanno al mare; nel romanzo, invece, il lettore, vede riapparire le bambole solo alla fine del quarto libro.

Infine, la presenza di Napoli che si avverte costantemente, ma non si sente.

Credi che la prestigiosa traduzione inglese di Ann Goldstein dia più valore al tuo lavoro?

Ne sono convinta. Ann Goldstein è la voce statunitense di Elena Ferrante. Il fatto che il mio contributo sia stato tradotto da lei, ha attirato, attira e attirerà l’attenzione di molti, e questo, naturalmente, ne aumenta il valore. Se il mio saggio non fosse stato associato a una delle più famose traduttrici anglofone, non avrebbe attirato nemmeno la tua attenzione probabilmente.

L’amicizia che lega le protagoniste Elena Greco e Raffaella Cerullo rappresenta, a tuo parere, un neorealismo che poteva attecchire solo nella Napoli degli Anni Cinquanta o è applicabile anche alle dinamiche relazionali moderne?

Rispondo alla domanda partendo da una citazione di Ferrante: «I moltissimi fatti della vita di Lila e Elena mostreranno come l’una tragga forza dall’altra (…) non solo nel senso di aiutarsi, ma anche nel senso di saccheggiarsi, rubarsi sentimento e intelligenza, levarsi reciprocamente energia» (fr 225).

La relazione delle due bambine (ragazze e poi donne) riproduce le dinamiche relazionali presenti in tantissimi rapporti femminili (del passato e del presente), dove, è inutile negarlo, tutti i sentimenti positivi e bellissimi che caratterizzano un’amicizia coesistono con «tutto il corteo inevitabile dei cattivi sentimenti» (fr 351), come, per esempio, l’invidia e la gelosia.

L’amicizia di Lila e Lenù è il tipo di relazione che sovverte, sconvolge gli stereotipi che ruotano attorno al concetto di amicizia femminile: nonostante l’invidia e la gelosia, l’affetto, l’amore reciproco e l’affinità prevalgono e il loro rapporto rimane sempre e comunque una certezza, un’ancora di salvezza, senza la quale non sarebbero riuscite a sopravvivere alla violenza del rione.

Quindi sì, è assolutamente applicabile alle dinamiche relazionali odierne: molte donne si “salvano”, sopravvivono, brillano, grazie al rapporto con le loro amiche geniali.

Progetti futuri?

Il più importante ed emozionante: insegnare la lingua e la cultura italiana a tutti gli stranieri bisognosi o desiderosi di farlo, progetto già iniziato nel periodo statunitense, che continua e che spero di portare avanti per tutta la mia vita.


Fontehttps://flic.kr/p/b4WSnv
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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.