Tra chi gioisce e chi non ha più lacrime per piangere

Famiglie: al plurale. Di fatto, al di là dei giochi di parole, è così. La tanto attesa e declamata legge sulle unioni civili, preparata, sembra, da Scalfarotto e De Giorgi (di cultura radicale-pannelliana) già anni fa, pur tra le roventi polemiche, finalmente è norma dello Stato; nonostante il fatto che nell’aula del Senato e in quella della Camera i parlamentari non abbiano potuto votare un solo emendamento.

Numerose sono state le lacune rilevate intorno ai riflessi penali della stessa intelaiatura legislativa approvata, a cui il Governo è chiamato a porre argine, chiarendo nel bene e nel male i punti controversi.

La questione della fiducia, imposta nella votazione, lascia pensare al vecchio ed ecclesiastico “anathema sit” (sia maledetto), abbandonato da tempo dalla Chiesa, ma vivo e vegeto, sotto altre sembianze, nell’attuale politica. Il Governo, sostiene Monsignor Galantino, avrà avuto anche le sue logiche, le sue ragioni, ma il voto di fiducia, segno di precettazione che sottintende la paura di non farcela, può rappresentare spesso una sconfitta.

I problemi etici investono le coscienze e non devono essere oggetto di strumentalizzazioni o diktat politici, soprattutto se, in maniera subdola, si tratta di accaparrarsi una fetta dell’elettorato: un legislatore non può legiferare solo in termini utilitaristici; anzi, il mestiere del politico è, innanzitutto, quello di cogliere i segnali della società per poterne definire i punti deboli e organizzare soluzioni efficaci.

Purtroppo si constata in certi politici una ferrea volontà nell’andare incontro alle “unioni civili”, bisognose certamente di una legislazione appropriata, a cui non corrisponde un uguale impegno, con troppe risposte da tempo disattese, a favore della famiglia costituita da padre, madre e figli.

Il ruolo di questa famiglia non è sussidiario o marginale per la collettività né tantomeno è un tema che deve stare a cuore solo alla Chiesa, ma a tutti. Si veda, ad esempio, i conseguenti problemi intorno alla denatalità e al fisco che attanaglia famiglie con prole. A queste urgenze non si può rispondere né con slogan, né con “spot” (esempio i bonus), né gettando quattro spiccioli come elemosina in un cappello rovesciato, ma attuando misure strutturali e previdenti.

I cattolici, che hanno vissuto l’intera vicenda fin dalle sue lontane origini, e quindi, pur di sopravvivere, hanno imparato a nuotare tra pericolose correnti, si sentono feriti nella loro sensibilità da questa legge. In proposito c’è chi potrebbe cedere alla tentazione di imbroccare un percorso di ritorsione. Il “popolo della famiglia”, attraverso il suo leader Gandolfini, è intenzionato a “scatenare l’inferno” sul governo Renzi in occasione del referendum di ottobre sulle riforme costituzionali. In campo c’è già Giovanardi con l’ipotesi classica di un referendum abrogativo ad hoc, approfittando del facile bersaglio offerto dalla conformazione della legge a queste tattiche referendarie.

Lasciando a chi vuole simili esercitazioni di muscoli e di fantasia, il referendum non ci darà alcun rimedio ai mali enunciati attorno alla famiglia, finché non metteremo il welfare nella voce “investimenti” piuttosto che considerarlo una spesa. Ma occorre fare ancora molta strada, perché questa sensibilità non è scontata.

Purtroppo, l’amara constatazione porta a vedersela sempre da soli contro l’abisso di una follia provocata dal peso di una famiglia segnata dalla fedeltà e urlata per chi non vuol sentire. Qui si constata come il cielo interiore dell’anima umana non sarà mai vuoto fino a quando vi sarà chi, all’ideologia della ragion di stato, preferisce il nobile ideale del bene e della giustizia. Il cristianesimo, tutt’altro che ridotto a semplice agenzia etica, può ancora alimentare molte energie in questa direzione.