Di solito non mi lascio mai tentare dai battage pubblicitari, dai libri scandalo o dalle opere pluri-citate ovunque. L’atto della lettura, per me, è una cosa molto intima, risultato di una ricerca, di un trovare qualcosa che funga da ponte tra me e me stesso. Vedendo come stanno andando le cose – da un secolo a questa parte, oserei dire – trovare letture veramente avvincenti, formanti e capaci di metterti seriamente in discussione, riuscire a trovare un libro con la “L” maiuscola, diventa – almeno per me – arduo.

Meglio rifugiarsi nei classici – penso io – della letteratura, della filosofia e della teologia. È probabile che mi sbagli, ma non posso farci niente. L’uomo è l’unico essere vivente che sbaglia e se ne accorge. Più o meno.

Il 7 gennaio era il giorno del mio compleanno. Festeggiato – per così dire – da solo, lontano da casa e da tutti. Pazienza. Era il giorno in cui si riprendeva a lavorare dopo la pausa delle vacanze invernali. L’idea di ritornare tra i miei studenti, la voglia di parlare con loro, quasi malediceva l’appena passato periodo vacanziero.

Esco da scuola e accendo il mio Smartphone. Mi collego ad Internet. Tgcom 24: Strage a Parigi. Mio Dio, cosa è successo? Lo sappiamo tutti. A casa mi informerò meglio. Lo schermo del cellulare trasforma tutto in evento su Facebook, cinguettii o whatsappate. Per me non è serio. Per me.

Tra le miriadi di notizie, le dirette non-stop, gli interventi degli specialisti o presunti tali, si fa il nome di Michel Houllebecq, autore di un libro controverso, del quale si parlava sulla rivista al centro dell’attenzione da parte del mondo intero, per l’imminente uscita del suo nuovo, controverso romanzo Sottomissione.

La trama è arcinota. Si conosceva già tutto molto tempo prima che lo stesso fosse pubblicato in Italia (il 15 gennaio). Troppo chiasso. Ciò mi disturba a priori. Autore sotto scorta. Commenti a destra e a manca. Inutile leggerlo. Penso.

Qualche giorno fa mi reco alla biblioteca del mio paesino dell’hinterland milanese, per riportare indietro un paio di romanzi storici presi in prestito, dei quali sono molto appassionato. Sul bancone del bibliotecario l’occhio cade sulla copertina rossa lucente del nuovo libro di Houllebecq. Lo prendo in mano, attratto da quel colore così intenso. Sulla quarta di copertina una frase lapidaria: “Era un uomo di una normalità assoluta”.

  • Vuoi leggerlo? È appena arrivato.

Mezz’ora dopo sono già a casa immerso nella lettura.

Avviso al lettore. Se credi di trovare nelle parole che seguono una recensione, una critica all’Islam o una sua apologia, qualche riferimento all’Isis o alle varie tematiche che stanno riempiendo i rotocalchi degli ultimi anni… puoi anche fermarti qui, perché non troverai questo.

François è un uomo assolutamente normale. Docente universitario di letteratura francese… che si lascia vivere, nascondendosi dietro la sua professione che, d’altronde, riesce a far bene. Colpisce di lui il fatto che non abbia sentimenti. La sua normalità è limitata al suo vivere piuttosto che al suo esistere. Ed è questo che lo porterà, nel futuro distopico di una Francia sapientemente pennellato da Houllebecq ad effettuare una scelta (la conversione all’Islam). Ma una scelta di vita e non esistenziale, mossa da interessi professionali. Per altri dettagli circa la trama, si invia il lettore al libro stesso il quale, tra l’altro, non è di facile lettura, a meno che si voglia rimanere sul superficiale, come è stato fatto dalla moltitudine di lettori e recensori, troppo presi per arrivare ad un dunque nel concitato clima che accompagnato la pubblicazione del romanzo.

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La tecnica scritturistica dell’autore lascia senza parole. Periodi lunghi, lunghissimi, descrivono con nonchalance e puntualità atti sessuali espliciti per poi passare – senza nemmeno far sentire il colpo al lettore – a digressioni filosofiche sul senso della vita umana nel XXI secolo.

Già dalle prime pagine la mia memoria creava ponti con altri due libri, da me letti e studiati durante i miei studi di filosofia all’università: Lo straniero di Albert Camus (1942) e La nausea, di Jean Paul Sarte (1932 e 1938, l’ultima edizione), capolavori di quella corrente filosofica nota col termine esistenzialismo. Due letture che mi hanno segnato e in-segnato davvero tanto e che ora riemergono prepotenti durante la lettura di questo libro.

Mersault, protagonista del testo di Camus, sopravvive alla sua vita: fuma tranquillo accanto al letto ove giace morente sua madre; frequenta – senza mai innamorarsi, ovvio – la bella Marie e, quasi per noia, ammazza un uomo sulla spiaggia, assolutamente senza volontà (il sole gli dava fastidio quando faceva balenare la sua luce sull’arma). Condannato a morte per omicidio, decide di diventare spettatore di quanto gli sta per accadere. La sua esecuzione diverrà l’evento importante. In due parole: il senso che viene dal non senso.

L’altro libro, grande classico della letteratura, è ancora più violento. Vero e proprio diario filosofico dell’autore, il testo non ha una trama precisissima e lineare. Ma riesce comunque a trasmettere il grande disagio dell’uomo moderno: il non senso e la nausea che ne scaturisce. Antoin Roquentin è un ricercatore impegnato nella stesura di una tesi su un guerriero del XVIII secolo, tale Rollebon (come François di Sottomissione, specializzato in uno scrittore decadente francese, J. K. Huysmans). Finché si rifugia nel passato, grazie al suo guerriero Rollebon, tutto va più o meno bene ma, quando torna al presente, analizza la sua vita piuttosto che quella di Rollebon, inizia a cedere. L’assenza di legami veri, del senso dell’esistenza, lo faranno soggiacere a un qualcosa di più grande di lui, l’esistenza, appunto, provocandogli la ben famosa nausea, ossia il senso di malessere che pervade chiunque non sia riuscito a trovare il posto nel proprio mondo.

Tornando al recente Sottomissione, non ho potuto fare altro che notare nel suo protagonista una sorta di alter ego dei due antieroi appena citati. Vive (?) la sua routine senza convinzioni. Fa sesso – mai l’amore; si nutre – mai mangia; trasmette il sapere – mai insegna. Fugge da Parigi perché ha paura dei disordini e perché non è interessato al grande stravolgimento che la sta interessando.

La sua normalità, la sua anomia, inizia a cambiare quando sono colpiti i suoi interessi fisici, economici, sessuali. Da sottomesso qual era alla nausea della sua esistenza (la nausea si può controllare) decide di sottomettersi a ciò che gli viene imposto – per il suo bene – dall’alto, in questo caso dalla religione islamica imposta dal nuovo presidente.

Concludo questa strampalata riflessione con una semplice domanda, che tutti dovrebbero porsi. E visto che siamo in molti a trovarci nelle condizioni dei tre eroi/antieroi su esposti, forse è meglio farlo con urgenza: Che ne è della libertà? È più facile sottomettersi al nulla e vivere da spettatori la nostra esistenza, oppure, scegliere di curare la nausea e di trasformarsi da spettatori ad attori della nostra vita?