Dovremmo tutti affinare l’orecchio ai suoni sottili delle parole
Le parole sono importanti, vitali.
E dobbiamo augurarci che sia sempre così, cioè che i nostri discorsi rendano onore a tale preziosità.
Parlare: in greco è leghein e significa anche legare, tenere insieme. Perché non c’è relazione senza parole; cose e volti restano disgiunti, drammaticamente lontani quando queste vengono ab-usate. Nei giri di parole costruiti per aggirare lo sforzo della chiarezza, nelle tautologie preferite alla ricerca del nuovo, nella retorica imperniata sull’autocelebrazione, nei monologhi di chi cerca continue autogiustificazioni.
Le relazioni si incrinano anche quando le parole vengono dis-usate, quando si sceglie il mutismo per non affrontare le situazioni, quando si gioca a risparmio per non perdere tempo nelle spiegazioni che chiunque, in qualunque situazione, merita. Magari per gestire meglio sia il chiunque sia la situazione. Del resto sapere è potere e da che mondo e mondo l’ignoranza è più controllabile.
E poi ci sono le parole dis-attese, incompiute perché tradite. Sono parole note, pronunciate da persone autorevoli, che ci piace prendere e rilanciare nella mischia quando non sappiamo a chi altri rivolgerci per avere ragione.
E così san Francesco diventa l’icona degli ecologisti; Gesù di Nazaret la bandiera della coerenza; Nietzsche il pioniere dell’ateismo e Cartesio del razionalismo; Buddha il custode di ogni spiritualità privata e sganciata dalla vita; Ratzinger del tradizionalismo e Bergoglio dell’anticonformismo. E che dire dei limiti, nostri o di chi ci è vicinissimo, che diventano il palcoscenico dei drammi, della pretesa di tutti i diritti e di una libertà ab-soluta, ossia sganciata da ogni preoccupazione per la libertà e la dignità altrui. Poveri limiti: da confini di forme uniche ed irripetibili, entro i quali conviene sempre restare per gustare appieno la potenza del qui ed ora, a slogan vuoti.
Slogan è un termine di origine scozzese, significa letteralmente urlo di guerra: in effetti qualsiasi parola sfruttata per la provocazione e l’ideologia assomiglia proprio al grido di un soldato maldestro, che vede guerra ovunque e perciò la provoca senza motivo. E sia chiaro: si tratta di una metafora, perché ci sono urla lecite e poi toni smielati e vocabolari ineccepibili, apparentemente eleganti e pacati ma molto, molto più taglienti e belligeranti.
Dovremmo tutti affinare l’orecchio ai suoni sottili delle parole. Perché nel passaggio quotidiano dal chiasso alla melodia, dall’urlo di guerra alla fermezza del confronto, dallo spontaneismo del “non ho peli sulla lingua” al discernimento che sa scegliere con cura anche quello da non dire, la vita torna ad essere quella sinfonia che tiene insieme battiti, respiri, intenti, anche diversi, anche lontani.
Ottimo spunto di riflessione…
Complimenti per la sensibilità che si evince dal contenuto e per la chiarezza espositiva… Dono di pochi in questo mondo.