Il bel Narciso e la ninfa Eco

Mentre la ninfa Eco vagava nelle campagne, ella si imbatté in un giovane di bellissimo aspetto chiamato Narciso; subito la ninfa se ne innamorò; essendo stata condannata a non potersi rivolgere a nessuno ma solo a ripetere le parole altrui, seguì di nascosto il giovane.

Narciso sentì una voce che ripeteva le sue parole e iniziò a chiedere chi fosse e perché si nascondesse; allora Eco, dopo che il giovane le chiese di uscire allo scoperto, si fece vedere e iniziò a corrergli incontro; Narciso, infastidito dalla ninfa, fuggì affermando che non le si sarebbe mai concesso.

A tali parole Eco rimase affranta, tanto che si nascose per sempre e si coprì il viso con le foglie; il dolore del rifiuto la rese scheletrica tanto da scomparire, e di lei rimasero solo la voce, che sola riecheggiò tra le selve, e le ossa, ormai pietrificate.

Passò del tempo e Narciso continuò a trattar male ninfe e giovani corteggiatori, tanto che uno di questi alzò le mani al cielo chiedendo agli dèi che il bel giovane si innamorasse di qualcuno e che per una volta il suo amore non fosse ricambiato; e che soffrisse tanto quanto faceva soffrire coloro che lo amavano. La dea Ramnusia (vendetta) ascoltò tali preghiere e le esaudì.

Un giorno Narciso si trovava nel bosco alla ricerca di un posto dove potersi sedere, rinfrescarsi e rilassarsi dopo la calda giornata passata a cacciare; a un certo punto egli trovò una limpida fonte, coperta dalla fresca ombra della selva circostante incontaminata. E mentre desiderava placare la sete, un’altra sete crebbe: mentre beveva fu travolto dall’immagine della bellezza che vedeva; iniziò ad amare qualcosa di irreale; pensava che fosse un corpo ciò che in verità era un’ombra.

Si stupì davanti a se stesso e immobile con lo sguardo si fermò, come una statua di marmo. Disteso a terra contemplava quelle due stelle, ossia i suoi occhi, i capelli degni di Bacco ed anche di Apollo, le guance lisce, il collo d’avorio, la bellezza della bocca, il rossastro misto ad un niveo candore. E ammirava tutti quegli aspetti grazie ai quali egli stesso era meraviglioso.

Non sapendolo, desiderava se stesso e amava lui stesso, che era riamato.

Lo racconta Ovidio nel Libro III delle sue “Metamorfosi”.

*****

Tutti intenti a cercare nel nostro vissuto la veridicità di questo mito o a cercare in esso i consueti aspetti psicoanalitici, non vediamo i due fenomeni della fisica che si nascondono, o che forse – al contrario – balzano ai nostri occhi.

Lo specchiarsi di Narciso nell’acqua non è altro che un fenomeno dell’ottica: la riflessione della luce; l’eco invece è un fenomeno dell’acustica. E l’ottica e l’acustica sono – com’è noto – due parti della fisica. E fin qui ci siamo.

Approfondiamo però la questione.

Secondo le leggi della riflessione della luce, quando un raggio di luce colpisce una superficie piana riflettente, il raggio di luce incidente, il raggio riflesso e la normale (perpendicolare) al piano riflettente nel punto di incidenza sono complanari. E l’angolo di riflessione è uguale a quello di incidenza.

Secondo le leggi della riflessione di un’onda sonora, il raggio di propagazione dell’onda incidente, il raggio di propagazione dell’onda riflessa e la normale alla superficie riflettente nel punto di incidenza sono complanari. E l’angolo di riflessione è uguale a quello di incidenza.

E dunque?

E dunque sono lo stesso fenomeno, due facce della stessa medaglia, due modi analoghi del manifestarsi della materia. Inconsciamente, il personaggio della mitologia Narciso è stato abbinato proprio a Eco e non ad un altro personaggio, il destino di uno si interseca in un punto con quello dell’altra.

L’ho capito da sola molti anni fa, quando per la prima volta ho spiegato questo duplice mito ai miei studenti di quinta liceo. Hanno giocato in me il “transfer dell’apprendimento” e la cosiddetta “razionalizzazione del mito”, che rivela come gli antichi avessero intuito molti dei fenomeni che oggi annoveriamo nelle scienze.

E a conclusione, un prezioso consiglio: anziché “consumarci” come Eco per amore verso qualcuno o – peggio – come Narciso verso noi stessi, diamoci alla FISICA!

 


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Sono nata a Barletta il 19 gennaio 1961 da padre barese e madre barlettana ma vivo ad Andria dal 1972. Docente di scuola elementare, materna e di sostegno, dal 1987 al 2001 ho insegnato nella scuola materna statale. Conseguita nel 1993 la laurea in Pedagogia all’Università “La Sapienza” di Roma, ho insegnato nel Liceo Scientifico “A. Moro” di Margherita di Savoia e dal 2002 insegno lettere nel Liceo Scientifico “R. Nuzzi” di Andria. Per molti anni ho studiato e commentato i testi delle canzoni di Fabrizio De Andrè, alcune delle quali confluite nella mia tesi di laurea (inedita) e ho tenuto in merito alcune lezioni. Ho pubblicato su “Odysseo” il commento del brano “Don Raffaè”. Ho trascritto una importante cronaca barlettana e sono tutta immersa nello studio della storia della mia città natale. In particolare mi sto occupando di opere letterarie che parlano di Barletta o che sono state scritte da autori barlettani non molto noti. Attualmente sono nel Consiglio Direttivo delle sezioni barlettane della “Società di Storia Patria per la Puglia” e di “Italia Nostra”.

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