Non è una strada facile: certamente è una strada segnata dal dolore e dalla sofferenza. Però non per questo cessa di essere cammino di speranza. Occorre audacia e lucidità profetica, consci che non andiamo verso una meta sconosciuta. Sappiamo ciò che ci attende e ciò che dobbiamo costruire.

I non allineati, gli accantonati, gli emarginati e i sottoutilizzati, piuttosto che cedere a una logorante impa­zienza e a un deprimente autolesionismo, diventano laboratorio di pensiero e di spiritualità: una presenza combattiva animata spesso dalla stessa fede di chi li governa e da cui ci si intende liberare perché “l’assente” e il “nulla” sono soltanto deleteri.

Però ci si chiede se questo sforzo ha senso; se è possibile coltivare una spiritualità in un contesto di esclu­sione. Si può riflettere su un Dio vivo quando c’è il rischio di morire “prima del tempo” perché privi di una speranza… almeno tempestiva?

Non si tratta di ricercare una risposta immediata ed evidente. Le domande poste sono delle sfide: è neces­sario tenerle presenti. Il diritto a pensare e quindi anche a dissentire è espressione del diritto alla vita: del ri­conoscimento di una esistenza … anche se sovversiva o inquietante per chi presiede. La riflessione spiri­tuale è parte di questo diritto a rileggere la propria esperienza e pensare a un Dio Liberatore. Fondamentale risulta il diritto a riappropriarsi della fede, una fede che è costantemente strappata dalla propria esperienza per ridurla a un culto avulso dalla realtà e ottima giustificazione ideologica per chi amministra. Fondamentale risulta anche il diritto a riappropriarsi della Bibbia e a far sì che i proprietari e i gestori dei beni di questo mondo cessino di essere anche i «padroni» e i gestori del Vangelo.

Rinunciare a “pensare”, come alcuni superficialmente potrebbero consigliare, equivale a cedere terreno; è tradire la vitalità della fede di un gruppo e dei singoli in lotta per la loro esistenza. Rinunciare a comunicare è creare un vuoto che sarà rapidamente occupato da una riflessione che risponde ad altre categorie, preoccu­pazioni e interessi.

Vivere e pensare la fede a partire dall’universo di quelli che la Bibbia chiama “i poveri del paese”, ci farà prendere strade poco frequentate da coloro che amano i numeri e che, in virtù di questi numeri, gestiscono consensi, alleanze e dissensi. Su queste strade si riaffermerà la nostra speranza pensante nella vita e in li­nea con la fede nel Risorto che vince ogni morte.

Passare poi dall’anatema al dialogo o dall’ignorare le persone al “chiedere” alle stesse è un processo evolu­tivo mentale non alla portata di tutte le intelligenze: è più facile e conveniente “ricercarsi” come appartenenti allo stesso clan per ottenere protezione tutela e difesa, piuttosto che “cercarsi” per creare comunità pensanti oltre il vuoto di una progettualità monocratica di chi rincorre, affannandosi ansiosamente, a chiudere falde che continuamente si aprono all’interno di una struttura resa fatiscente, perché priva di una progettualità so­stenibile e condivisa. Qui la speranza nella resurrezione passa attraverso l’insurrezione …non armata o vio­lenta … ma di quel dissenso pensante che guarda lontano.