Il “comandare” ha sempre avuto un proprio fascino: i lunghi elenchi in occasione di campagne elettorali ne sono l’esempio. Per ricoprire questi ruoli non sono sufficienti i numeri dei sondaggi o delle preferenze ma occorrono altri “numeri”: autorevolezza, capacità di analisi critiche, idee e determinazione nel ricercare e costruire dialoghi per far rinascere soprattutto le ossa inaridite di cui parla il profeta Ezechiele (37,1-10): è un immettere così energie nuove nella vita della comunità senza mercanteggiare ruoli e compiti.
In questo contesto non c’è spazio per falsi atti di umiltà; il tirarsi indietro, nonostante certi numeri, è segno di grande realismo, conoscenza di se stessi e rispetto verso la comunità: Benedetto XVI insegna!
L’evangelista Matteo presenta Pietro, quale punto di sostegno della comunità, in un concreto cammino tra le più pericolose incertezze di una fede assai fragile come dimostra la drammatica camminata sulle acque (Mt 14,24-31). Qui emerge la figura di un capo alla ricerca di nuove strade da proporre alla sua comunità, più che un conservatore di tradizioni, leggi e strutture.
Con dei colpi di “spranga” viene abbattuta ogni autorità mitizzata all’interno della comunità: il Pietro di Matteo non è un personaggio-tipo come il discepolo prediletto di Giovanni, ma un uomo reale con pregi e difetti, con esperienze di timori, rischi e sconfitte; e i nostri capi? La tematica della mitizzazione e dell’ autosufficienza di un’autorità spesso diventa motivo di isolamento della stessa, di non credibilità e di rifiuto fino a trasformarsi in inciampo di comunione.
Pietro, o chi per lui, rende un servizio e non gestisce un potere; e la qualità del servizio viene giudicata da chi ne usufruisce e non da chi lo offre: in altre parole all’evangelista sta più a cuore la comunità che la persona di Pietro. È la comunità che ha bisogno di intelligenze vivaci e non di sterili e passivi “adulatori” sempre pronti al consenso; per cui chi è chiamato a decidere hauna grossa responsabilità che deriva da un cuore pensante, più che da una grande autorità, come già abbiamo provato a dire la settimana scorsa.
«Un rabbino chiese al suo discepolo: “Quando comincia il giorno?”. Il discepolo: “Quando non confondo più il terebinto con la palma”. “Questo non basta”, rispose il maestro. E il discepolo: “Forse quando riesco a distinguere un cane pastore da una pecora nera”. Il rabbino: “Anche questo non basta. Solo quando riuscirai a riconoscere tuo fratello nel volto di un altro uomo, solo allora si è fatto giorno”»: questa è l’autorità che non ci stancheremo mai di cercare …perché ne avvertiamo l’esigenza!
Elia Ercolino
[ Foto: Elia Ercolino ]
Belle riflessioni … che dire? Fosse vero! spesso la copertura religiosa è un tentativo per tener buone le intelligenze libere e critiche nella ricerca di senso di ruoli e compiti così come vengono gestiti da personalismi che rifiutano, come metodo, il confronto; anzi costoro ricercano il confronto là dove già riscuotono consensi.