A volte ci vuole più coraggio a mettere sotto chiave i propri tesori che a rompere i cancelli e fare rivoluzione
Giacché ultimamente si parlava di tempeste, forse è il caso di approfondire la questione da un altro punto di vista, che mi pare ugualmente interessante. L’idea me l’ha data una scala di cemento di un vicolo di Cisternino: era adorna di piante fiorite bellissime e chiusa da un cancelletto. E sì, le cose belle vanno protette. O difese?
La difesa è affascinante e spesso doverosa: de-fendere significa letteralmente deflettere un colpo, darsi da fare attivamente per neutralizzare un attacco o almeno respingerlo. È l’arte dei cavalieri e delle eroine delle fiabe, che mai si arrendono e sempre inseguono e perseguono i propri obiettivi; ma è anche l’arte di tanti anti-eroi dell’ordinario quasi invisibili, che portano avanti vere e proprie battaglie. C’è chi combatte sistemi economici, sociali, politici viziosi; c’è chi raccoglie rifiuti in spiaggia; c’è chi studia senza tregua, magari per trovare linguaggi a categorie più idonei a far innamorare della cultura. Sono lotte diverse a difesa di cose diverse, tutte rispettabilissime e degne di nota.
Si sa, vivere senza lottare non è propriamente vivere. Eppure a volte si rischia grosso, un po’ come don Chisciotte: certe battaglie sono perse in partenza e bisogna stare attenti a non farsi risucchiare il cervello. Contro certi mulini a vento, in altre parole, occorre semplicemente pro-teggersi, ossia “coprire davanti”, frapporre un ostacolo tra offensore e offeso, un cancello ben chiuso o un velo appena traspirante.
Insomma, ci sono imprese inaggirabili e tutte nostre, che possiamo e dobbiamo intraprendere; tirarsi indietro sarebbe un grave errore. E poi ci sono sistemi entro i quali ci ritroviamo coinvolti senza saperlo né volerlo, macchine da guerra nelle quali tentare di disinnescare una bomba significa innescarne altre dieci e sperimentare la linea dura del contraccolpo equivale a restare colpiti a morte. Come distinguere le une dagli altri?
È semplice, forse. Nelle mie ultime battaglie perse, nei miei ultimi insuccessi su fronti sui quali credevo di aver ben distinto offensori e offesi, sono quasi rimasta schiacciata dalla connivenza tra di loro, dall’interscambio dei loro ruoli. Sì, nei sistemi di un certo tipo tutti fanno la parte di tutti e tutti prendono le parti di tutti, per poi rivoltarsi contro tutti, perché a portare avanti tutto è una porzioncina di bene ridottissima, chiamata tornaconto. Per cui credere di poter difendere i presunti oppressi dai presunti oppressori è assurdo. Assurdo quanto la sensazione di smarrimento ravvisabile nel mentre. Assurdo quanto la bravura del sistema a nutrirsi della tua energia e del tuo sincero desiderio di cambiamento. Assurdo quanto il paradosso di allontanare, nella rabbia e nella corsa agli armamenti, proprio le persone e le cose più care. Perché alla fine ti ritrovi a litigare con chi ami, o semplicemente a dedicare meno tempo a progetti migliori e più meritevoli di attenzione.
Allora in quei casi bisogna fermarsi, lasciarsi proteggere dagli amori che tengono in vita, per proteggerli a propria volta; bisogna tornare ai volti più cari e poi ai libri, all’orto, al mare, agli ulivi, per ritrovare respiro, vitalità, sorriso, discernimento. Sono gli amori a indicare ciò per cui vale la pena lottare e ciò per cui occorre fare uno o cento passi indietro, perché negli amori il fine non è la lotta, ma la vita, e in essi c’è in gioco una porzione di bene più grande, ossia il bene comune e disinteressato.
E anche se sembra un atto di resa e di debolezza, proteggere gli amori è lo straordinario gesto di coraggio di chi ha capito che non tutto è nelle sue mani, che alcune cose possono essere cambiate e altre no, che non esiste passività più grande di quella di chi scambia la quotidianità per una trincea.
A volte ci vuole più coraggio a mettere sotto chiave i propri tesori che a rompere i cancelli e fare rivoluzione. A volte, solo a volte. Quando? Te lo dicono i tuoi amori, se da te si sentono protetti, ovviamente.