«Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell’infinito»
(Confucio)
«Col tempo ho capito la frase: “La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Penso si riferisca a chi promette senza poter poi mantenere l’impegno. Perché poi uno ci prova sempre, però fallisce miseramente. Io la interpreto in questo modo. Che è una sorta di condanna per chi non ammette o conosce i propri limiti».
Quando ho ascoltato il vocal con le parole che hai appena letto, ho subito risposto: «Mi piace questa interpretazione! Mi sa che la prendo come spunto per un caffè…». E così eccoci qui.
Ora, al netto di intricate questioni teologiche – esiste l’inferno? come? dove? chi ci va? è vuoto? è pieno? è caldo? è freddo? che marca di caffè vi si beve?… – quel che più mi ha colpito del messaggio del mio amico è l’intuizione secondo cui il fallimento non è necessariamente frutto di accidia. Può essere, al contrario, il risultato di una volontà che si ostina a non fare i conti con i propri limiti. Come dire: Icaro caro, puoi puntare quanto vuoi a volare con ali di cera, sempre in mare ti devi schiantare!
Caro lettore, adorata lettrice,
conoscendo il mio inguaribile ottimismo – che tale non è, a mio avviso, perché è solo una caparbia scelta di speranza – immagino tu ti possa chiedere dove intenda andare a parare con i miei ghirigori. Oddio, di caffè amari te ne ho già serviti, questo è indubbio, ma mai neri come la pece, mentre qui si parla di spedire dritto all’inferno financo chi ha buone intenzioni!
Quindi no, non è e non può essere questa la mia penna. E non è questo il succo della mia riflessione.
Piuttosto, ho colto nelle parole del mio amico un invito all’umiltà, che è sempre sinonimo di intelligenza, vi ho visto una sana autoconsapevolezza, persino un amore per i propri limiti: che saranno pure ciò che non mi permette di andare oltre e tuttavia sono ciò che mi de-finisce (finis, in latino, significa “limite, confine”, ciò che de-limita un territorio…).
Sì, sono proprio i miei limiti a permettermi di essere io, questo e non altro, in un certo modo, anziché niente.
Lo sappiamo bene, l’aria culturale che respiriamo ci spinge e sospinge, ci chiede sempre di osare, di moltiplicare e ingigantire i traguardi, di arrivare quantomeno primi, di essere superiori…
Un attimo! E se fossi solo io? Io e basta. Io, questo qui. Io, con i miei meravigliosi limiti, con i miei difetti, i miei errori, i miei bisogni più o meno inespressi, più o meno insoddisfatti. Io, con le mie capacità e le mie debolezze. Io e le mie gracili verità e forti contraddizioni.
E se volessi volermi bene come sono? Se volessi concedermi la libertà di essere più ignorante di quanto non sembri, meno vincente di quanto sembri? Per niente brillante, anzi, alquanto mediocre, ma unicamente e preziosamente me stesso: tutto qui! Punto e basta.
Punto e mi basto. Punto e mi abbraccio. Punto e mi voglio bene. Punto e sono felice. E, nella misura in cui lo sono, rendo felice chi incontro, chi mi è accanto.
Elogio della mediocrità? Non proprio, direi. Mi appare invece come un sano desiderio di normalità. Desiderio, de sideribus: dalle stelle. Una volta ho avuto modo di scrivere: «Siam polvere, sì, ma polvere di stelle».
Sarà forse questo il paradiso?
Fantastico Paolo
Grazie, Tiziano!
Carissimo Direttore,
Grazie per queste riflessioni che mi riportano il dolce il ricordo delle parole di Padre Giovanni
‘Amare sé stessi per riuscire ad amare il prossimo…per amare Dio ( corso vocazionale Assisi – Porziuncola).
Grazie di cuore, Rita.