
È luogo comune pensare che l’istruzione oggi non paghi. Le materie umanistiche non sono richieste dal mondo dell’industria e sempre più laureati rimangono disoccupati. L’istruzione non ci forma al lavoro, ma ci insegna a pensare. E chi pensa se lo crea il lavoro, anche in tempi di crisi. È quello che molti giovani startupper tentano di fare e dimostrare.
Una convinzione piena di ottimismo e sfida, dietro la quale si nascondono giovani imprenditori, ma anche giovani imprenditrici.
Senza cadere nel vittimismo, una donna imprenditrice si trova a dover fare i conti con difficoltà oggettivamente maggiori nel momento in cui decide di dividersi tra famiglia e lavoro, due sfere che contribuiscono alla realizzazione personale di ciascuno di noi.
Un universo interessante e stimolante allo stesso tempo, soprattutto se si ha la fortuna di conoscere Maila, una ragazza laureata in lingue e letterature straniere, che prende per mano l’azienda di famiglia e la catapulta da piccola realtà locale a startup internazionale. Come? Ce lo facciamo raccontare.
Ciao Maila, ti presenteresti brevemente ai nostri lettori?
Sono Maila Perugini, nata nel 1986 sotto il segno del leone. Sono cresciuta in un minuscolo paesino delle Marche che mi è sempre andato stretto. Forse è partito tutto da lì. Ho iniziato a girare per l’Europa a 14 anni e non mi sono più fermata. Oggi sono mamma di una splendida bimba di 6 anni, compagna felice e imprenditrice determinata.
Pranzo Express, come nasce la tua attività e di cosa si occupa?
Pranzo Express nasce dal sudore, dalla creatività e dal talento di mio padre e mia madre, che si occupano di ristorazione da più di 30 anni. Siamo produttori di pasti pronti, principalmente primi piatti, ma non solo. Nel 2010, quando la crisi inizia a fare male, entro ufficialmente a far parte del loro staff aziendale; mi “faccio le ossa”, sperimentando ogni aspetto del lavoro, dalla ragioneria (io che ho sempre odiato la matematica), alla produzione dei prodotti, al porta a porta a caccia di clienti. Nel 2014 scelgo di mettermi in proprio. Scindiamo la parte produttiva da quella commerciale, inizio a dover cercare clienti “miei”. Dopo 2 anni di lavoro “autonomo” abbiamo finalmente allacciato i primi rapporti commerciali in Europa e stiamo per partire con l’esportazione di piatti certificati Halal negli Emirati Arabi Uniti. Sul fronte “italiano” abbiamo lanciato una App per smartphone e tablet; stiamo inoltre per pubblicare uno shop online su cui sarà possibile per tutti acquistare la nostra gamma prodotti, con consegna in 24h sul modello di Amazon Fresh. C’è poi un nuovo progetto in cui credo moltissimo: saremo concessionari di Biomed Food, società di consulenza e spin off dell’Università Politecnica delle Marche, per la produzione di una nuova linea di pasti pronti completi ed equilibrati a livello nutrizionale. È un progetto fortemente innovativo e unico nel suo genere, a cui sto dedicando ogni minuto libero.
Hai realizzato una grande rivoluzione. Avviare un cambiamento e portarlo a termine è già motivo di successo. Qual è stato il fattore vincente?
La qualità è stato il punto di partenza e di forza, ma avere un buon prodotto non significa affatto che riuscirai a venderlo. Se non sei capace di adeguarti, di migliorarti e di essere competitivo hai chiuso prima ancora di iniziare. È facile dire che per uscire dalla crisi basta esportare. Devi trovare canali, studiare come funzionano le diverse leggi nazionali al di fuori dell’UE e devi soprattutto saper comunicare con la gente, possibilmente nella loro lingua. Le competenze non le acquisisci dall’oggi al domani e la bolletta a fine mese non aspetta che superi l’esame di tedesco.
Molti studenti universitari spesso si ricredono alla fine del corso di studi e dicono: avrei dovuto studiare ingegneria! Tu come ti relazioni con questa frase?
La sento spesso anche io, per quello che mi riguarda sono convinta al 200% dei miei studi umanistici. In primis ci sono anche tanti ingegneri a spasso, in secondo luogo poi non ritengo sia giusto scegliere il percorso di studi esclusivamente in funzione degli sbocchi lavorativi. Bisogna seguire i proprio interessi e le proprie capacità. E sfatiamo un mito ormai polverizzato dalla crisi: oggi il lavoro te lo devi creare. Sta a te riuscire a trovare la chiave di volta per fare delle tue competenze e capacità la tua professione di vita. Noi apparteniamo ad una generazione che ha avuto tutto, forse troppo e troppo facilmente. Quando ci affacciamo al mondo del lavoro, ci aspettiamo di trovare tutto pronto e non siamo abituati a metterci in gioco. Spesso è più facile lamentarsi che rimboccarsi le maniche.
Tu come ti sei rimessa in gioco?
A 24 anni mi sono ritrovata con una bimba da dover crescere senza il padre e la mia tanto amata università da interrompere ad un passo dalla laurea magistrale: rimettersi in gioco è stata una necessità. Per finire gli esami ho fatto affidamento sul supporto delle mie amiche, che considero sorelle, vere e proprie zie per mia figlia. Per il lavoro sono partita dal mio punto fermo: la famiglia, la mia roccia. Prima ho imparato le basi, poi ho sfruttato le mie competenze linguistiche e messo sul tavolo la mia voglia di viaggiare. Abbiamo iniziato a partecipare alle fiere di settore in Europa e Stati Uniti. Ho cercato partner che volessero investire nel nostro progetto. Li è partita la nuova sfida, fatta di fatica, sudore, ma anche tanta soddisfazione.
Un imprenditore ha bisogno di essere fortunato?
Nella vita come nel lavoro ci vuole fortuna, ma non credo che le occasioni arrivino perché si è solo fortunati. Le occasioni non arrivano se non cerchi, se non ti metti in mostra. Bisogna poi saper distinguere le promesse dalle opportunità. Di promesse si riempiono in tanti la bocca, mentre le seconde sono più rare da trovare e sono di solito l’inizio di un lungo lavoro, che non è detto termini in un successo. Insomma sei fortunato se sei in gamba!
Da giovane imprenditrice donna, come si concilia il lavoro di una startup con la vita privata?
Malissimo! Mia figlia è la mia vita e per gli impegni che ho sono costretta a toglierle tempo e attenzioni. Questo mi pesa veramente tanto, anche perché sono ben consapevole che questi anni non ritorneranno più, che prima che me ne renda conto Nicole sarà già grande e non avrà più bisogno di me. Allo stesso tempo, se voglio garantirle un futuro, devo lavorare adesso più che mai. Cerco per quello che posso di lasciare lo stress fuori dalla porta di casa, in modo da trasmetterle serenità; mi ritaglio, ostinatamente e finché posso, dei momenti con lei. Piuttosto che pressarla alle 7 di mattina perché altrimenti arrivo tardi a lavoro, preferisco alzarmi io alle 5:30 per recuperare ore preziose di lavoro. Quando hai una tua attività non esistono ferie o permessi.
Ci sono vantaggi o svantaggi che il tuo essere donna ti ha portato ad affrontare nel tuo percorso manageriale? Ed essere mamma?
Sinceramente non mi vengono in mente né vantaggi, né svantaggi. È la mia situazione e mi comporto di conseguenza, sono molto fiera del mio percorso e sono sempre stata estremamente convinta che le donne abbiano una marcia in più, solo che ci mettiamo più in discussione degli uomini e magari siamo portate a credere un po’ meno in noi stesse. Non preferirei essere uomo per avere meno problemi “pratici” sul lavoro se è questo che intendi e non c’è “svantaggio” nell’essere mamma che l’affetto di mia figlia non sia in grado di compensare.
Tornando all’ambito prettamente tecnico. Pensi che innovare (app, internet, etc.) in un ambito dove la tradizione è importante, come quello culinario, sia sempre la scelta corretta?
Decisamente sì. Sai quante sono le aziende che fanno prodotti eccellenti in Italia? Tantissime. Per quale motivo un cliente dovrebbe scegliere me piuttosto che un altro? Devi per forza arrivare prima degli altri, devi offrire qualcosa di nuovo se vuoi fare da apripista e non seguire il branco e accontentarti delle briciole.
Prossimi traguardi e piani futuri?
Punto sia ad incrementare fortemente il fatturato estero, continuando con fiere e magari frequentando qualche corso altamente formativo, che a far partire come spero il nuovo e-commerce. Vorrei anche prendere una laurea in economia o marketing, rimettermi sui libri. E vorrei soprattutto continuare a trovare stimoli nuovi, incontrare altri come me, confrontarmi sia a livello personale che professionale. È quello che sto facendo con Biomed Food, chissà che proprio Odysseo non mi dia la possibilità di rifarlo….
Ti senti una Odysseo anche tu?
Penso che non bisogna aver vissuto necessariamente per un lungo periodo all’estero per sentire il richiamo di casa. Penso che Odysseo accomuni la gente che intraprende un viaggio di scoperta ed esperienza. Io ne ho intrapresi parecchi e spero di non fermarmi qui.
È questo lo spirito che accomuna gli Odysseo del vostro giornale, credo. Se ho inteso bene, allora sì, mi sento una Odysseo anche io!