Se dovessi chiedermi cosa ho fatto nella mia vita? Ho investito, ecco questa terminologia è quella giusta. Seminato, per raccogliere mai.

Se dovessi chiedermi cosa ho fatto nella mia vita? Ho investito, ecco questa terminologia è quella giusta. Seminato, per raccogliere mai.

Forse ho sbagliato tutto, forse ho creduto alle favole. L’esperienza dell’associazionismo mi ha dato molto a livello personale e professionale, ha cambiato il mio modo di vivere e di vivermi, ha cambiato me e chi mi stava accanto, anche la mia famiglia. Poi penso a quelle persone che mi incontravano per strada e mi ringraziavano, a tutte quelle donne che ci chiamavano per ringraziarci per aver permesso loro di “RiscoprirSi…” e di riprendere a vivere. Sono soddisfazioni. Quelle che ti danno la forza di andare avanti.

Penso alle mie colleghe che mi ringraziavano per ciò che facevo, anche per loro. Ai tecnici del settore che si confrontavano con me sui temi che trattavo e questo era già un importante riconoscimento.

Sento ridere a squarciagola, un’amica chiama le altre per far notare le mie sopracciglia “anche da morta ce le ha scompigliate, ahahahahah” e tutti i miei amici che ridono, come facevano di solito, quando mi prendevano in giro per le mie sopracciglia. Mi faceva troppo male sistemarle, evitavo il più possibile di farlo. Se mi faceva male perché dovevo soffrire? Che me ne importava se non erano perfette! Negli ultimi anni, con la mia esperienza di malattia, il mio corpo aveva raggiunto soglie molto basse di resistenza al dolore. Avevo imparato ad ascoltarlo anche attraverso piccole cose.

Ma compensavo con altre. Esempi: l’abbinamento dei colori, le unghia perfette, l’abbigliamento. Non è un caso che per la mia morte avevo conservato un vestito fantastico raccomandandomi a mia madre di farmelo indossare. Tutti mi facevano i complimenti quando lo indossavo. L’aveva cucito mia madre diversi anni fa, sulla base di un modello che avevo disegnato io. Tutto scollato, la schiena tutta nuda, spacco centrale vertiginoso, fantastico. Menomale che il colore dello smalto che indossavo ieri si abbina, devo essere io anche da morta, no? Abbinata! Cosa penseranno altrimenti quelli che mi verranno a vedere tra vent’anni quando apriranno la bara, come consuetudine? Che poi nella bara non ci volevo neanche venire io. Volevo essere cremata, le mie ceneri sparse in mare, al largo della spiaggia che frequentavo, quella spiaggia che ha mi ha visto in un momento difficile della mia vita e nella relativa ripresa.

Invece no, nella bara e nel cimitero come consuetudine. Che poi sono pure allergica ai cipressi! Che tristezza e che spreco inutile di soldi. I fiori, la lapide, la lampadina, la bara, le tasse. Per cosa? Per venire a piangere là? Perché c’è bisogno di andare al cimitero per piangere o ricordare una persona cara? Spreco.

Di una cosa sono contenta. Da morta indosso le scarpe col tacco, quelle dorate, che si abbinano al vestito ovviamente. Finalmente. Non potevo più portarle a causa dei miei problemi di salute. Sembra una cosa stupida, ma quanto mi è pesato! Quella dei tacchi è solo una delle frustrazioni profonde legate alla mia esperienza di malattia. In fondo credo che la malattia sia sempre stata parte di me. Mi ha segnata, tanto che ad un certo punto la chiamavo “il fantasma del passato”. La cosa più brutta? Ritrovarsi ad aver paura di non svegliarmi dall’anestesia, di non poter più riprendere a camminare, ritrovarsi per diverso tempo a dipendere dagli altri. Spogliarmi, vestirmi, lavarmi, portarmi in giro e poi le barriere architettoniche, quelle delle persone! Negli ultimi tempi andava meglio, avevo ripreso a camminare.

Sento che qualcosa mi scorre lungo la schiena. Sarà sangue? Il vestitooooooo!!!!! Adesso si macchierà di sangue ufffff! Non avranno chiuso bene le ferite relative all’asportazione degli organi. Almeno i miei mi hanno ascoltato in questo. Ho sempre detto che volevo si donassero i miei organi. Almeno così posso stare morta tranquilla, visto che ho sempre avuto il terrore di svegliarmi nella bara chiusa. Morire due volte. Già una basta.

Chissà che organi hanno potuto asportare, chissà se hanno asportato le mie protesi. Ma quelle erano state fatte su misura, dove la trovano un’altra che ha avuto il mio stesso problema e che ha le stesse mie dimensioni?! Booooo, però valgono molto, sono in titanio, se le hanno lasciate le ritroveranno intatte anche tra mille anni. Ahahahah, potranno metterle in un museo magari ahahahah.

“La leggerezza, il suo sorriso, le sue battute stupide, ma anche la sua tenacia, la sua disponibilità ad aiutare gli altri, la sua voglia di vivere, quello è tutto ciò che la rendeva speciale e che la farà essere sempre presente in tutti noi”. Bello sentirsi dire queste cose. In fondo credo che ogni persona viva per farsi ricordare da qualcuno.

Non ho fatto alcun testamento. Non sono riuscita a farlo, che ne sapevo che dovevo morire improvvisamente! E ora che succederà alle mie cose? Il mio conto in banca. Quelle poche centinaia di euro. Chi se le prenderà? Che ne sarà della mia bigiotteria? E il mio pc? La mia macchina? La mia associazione? Il mio studio? Chissà. Il libro che stavo scrivendo. I conteggi che dovevo fare. L’ultimo convegno che stavo preparando.

Non sono riuscita però a fare una cosa. Sposarmi e avere dei figli. Lo avrei voluto fare. Ma ancora a trentatré anni non avevo un lavoro, come potevo fare? Poi c’era chi diceva che i giovani sono bamboccioni… dovevano provare loro a non avere un lavoro, una stabilità, una identità, perché il lavoro identifica le persone. Facile colpevolizzare, e le azioni? Cosa si fa per aiutarli? Ognuno pensa a sé e basta. Poi ci si lamenta.

Lauree, master, milioni di corsi di formazione, tanti sacrifici, tanto investimento e poi? Mentre studiavo lavoravo e facevo anche volontariato. Ai giovani viene chiesto di resistere, di inventarsi e di arrangiarsi in questo mare di merda, il futuro che hanno ereditato.

Da lontano una musica, non la riesco a sentire bene, non la riconosco. Si fa sempre più forte… La sveglia suona. Sono le ore 9:00. Forza, in piedi, inizia un’altra giornata…

(Leggi la prima parte)


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Sono Patrizia Lomuscio, laureata in Psicologia Clinica dello Sviluppo e delle Relazioni e Consulente in Criminologia, Psicologia Investigativa e Psicopedagogia Forense.  Socia fondatrice e Presidentessa del Centro Antiviolenza "RiscoprirSi...", associazione nata nel 2009 ad Andria (BT) per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza, in qualsiasi forma essa si manifesti, che dal dicembre 2013 è componente dell'ATI Associazione Temporanea d'Impresa che gestisce il Centro Antiviolenza della Provincia Barletta-Andria-Trani "Futura". Esperta in Progettazione Sociale e Politiche Sociali, in particolare Politiche di Genere, mi occupo di amministrazione, pubbliche relazioni e formazione, prevenzione e sensibilizzazione. Da Gennaio 2013 socia fondatrice di S.A. PSI Studio Associato Psicologico Educativo, studio professionale di promozione del benessere psicologico della persona, della coppia, della famiglia e della collettività, attraverso attività di ricerca, informazione, formazione, prevenzione e intervento psicologico - psicoterapeutico - educativo pensato sulla centralità del cliente come autore principale dell'intervento.