L’alfabeto di Dante
Lungi dall’essere considerate pura utopia, la giustizia e la pace tanto sospirate da Dante non possono realizzarsi sulla terra se non attraverso la rinuncia ad ogni forma di ingiustizia che presuppone il ritorno alla povertà, soprattutto da parte della Chiesa. Dante, infatti, con le sue dure invettive indirizzate agli ecclesiastici ormai corrotti, fedeli più al Dio denaro che al Vangelo di Gesù Cristo, si inserisce nel quadro della riforma della Chiesa predicata con vigore dagli ambienti francescani e spiritualisti del suo secolo. La contemplazione dell’ordine e della pace celeste che regnano nel paradiso, non fungono per il poeta da compensazione psicologica per un’esistenza terrena lontana dal modello celeste; al contrario, proprio dalla contemplazione della realtà paradisiaca nasce lo sdegno per la tragica distanza che separa la terra dal cielo, la ricchezza mondana della Chiesa dalla povertà dei primi discepoli. E’ questo il senso dell’invettiva che San Pietro, dall’alto del cielo delle Stelle fisse, rivolge alla Chiesa militante:
«Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d’oro usata;
ma per acquisto d’esto viver lieto
e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
d’i nostri successor parte sedesse,
parte da l’altra del popol cristiano;
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
né ch’io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond’io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci?» (Par. XXVII, vv. 40-57).
La «sposa di Cristo», la sua Chiesa, non fu «allevata» dal sangue di Pietro e dei primi martiri per essere dedita alle ricchezze del mondo, ma per l’«acquisto» della letizia del paradiso, ovvero per quella beatitudine ben più grande di ogni ricchezza terrena. Il sacrificio d’amore fino al dono della vita da parte di Pietro ed i suoi compagni non può essere disprezzato dai papi a favore dell’una o dell’altra parte politica. Il segno delle chiavi, simbolo del potere spirituale della Chiesa, non può essere utilizzato per combattere contro i battezzati, né la figura di Pietro può prestarsi alla squallida vendita di «mendaci privilegi». Tutto questo, la cui principale causa è da ricercare nella corruzione dei pastori dietro cui si nascondono «lupi rapaci», grida giustizia al cospetto di Dio e ne invoca la sua «difesa».
In questo quadro si inserisce l’exeplum di Francesco d’Assisi, di cui Dante celebra le sante gesta per bocca di San Tommaso in Par. XI. L’insistenza dantesca sulla povertà dell’umile frate si inserisce nel quadro della condanna della cupidigia, tema tra più presenti nella Commedia. Il Poverello è mandato da Dio in soccorso della Chiesa corrotta; dalla sua nascita fino all’«ultimo sigillo» (Par. XI, 107) delle stimmate, ricevute sul monte della Verna poco prima della morte, l’intera esistenza del Santo è una perfetta e continua conformazione al Figlio di Dio povero ed umile. Non a caso ritorna in questo canto la dimensione sponsale di Cristo: come egli sulla croce ha dato la vita per la sua Chiesa, così Francesco accoglie in un intimo abbraccio madonna Povertà:
Ma perch’io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;
tanto che ‘l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace. (Par. XI, vv. 73-84)
Francesco abbraccia senza riserve madonna Povertà risplendendo per l’amore, la meraviglia e la dolcezza dei loro sguardi, che suscitano nei cristiani nuovi «pensier santi»; così all’umile frate si uniscono i primi seguaci che, scalzatisi, desiderano godere di quell’«ignota ricchezza» che è fonte di pace. L’azione di scalzarsi non può non richiamare il precetto evangelico di Mt 10, 9-10: «Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento». La testimonianza cristiana della vita del santo di Assisi diventa ancor più stridente con la mondanità della Chiesa corrotta se si considera la presenza del termine «sigillo» in Par. XI e XXVII. Alle stimmate del Santo, «ultimo sigillo» della sua conformazione a Cristo, si oppone il «sigillo» dell’immagine di Pietro con cui la Chiesa concede «privilegi venduti e mendaci» in cambio di denaro. Da una parte, dunque, la santità dell’umile frate che abbraccia la povertà; dall’altra lo scandalo di una Chiesa corrotta e dedita ad interessi vili.