«È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama»

(Fedor Dostoevskij)

Albert Camus, ne La peste, ha scritto: «Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio».

Caro lettore, adorata lettrice,

non credi che queste parole siano, in qualche modo, profetiche rispetto al tempo in cui viviamo? Fase 1, fase 2, fase 3, lockdown, riapertura, ripartenza: ci siamo abituati, ho l’impressione, a sentir ripetere queste parole, ma forse stiamo perdendo l’occasione di avvertire la lacerazione che ciascuna di queste fasi ha comportato.

A tutto siamo capaci di abituarci! E la retorica fa il resto. Solo la sventura, il malheur, come lo chiamerebbe Simone Weil, ci lascia nudi davanti alla verità.

Nondimeno, che spreco sarebbe, se perdessimo questa occasione per ripensare il mondo per come lo abbiamo sin qui ferito. Che peccato, se non ne approfittassimo per interrogare le persone che amiamo, le comunità in cui siamo, il paese a cui apparteniamo. Che fuga sarebbe, se interrogandoli non ci interrogassimo.

Come Ignazio Punzi scrive, ed una mia amica mi ha di recente ricordato, serve una nuova grammatica della vita, serve una nuova narrazione: per noi stessi, per gli altri, per l’universo delle relazioni che, a cerchi concentrici, ci riguardano. E di cui dovremmo prenderci cura.

Servono parole nuove per raccontare. Ma come trovarle senza silenzio? E che follia, sciupare il silenzio, annacquare la separazione, anestetizzarla.

Oscar Wilde con una delle sue solite, e spesso artificiose, frasi ad effetto sentenzia: «Non sono giovane abbastanza per sapere tutto». Sì, ho capito. Non bisogna slegarsi dal fanciullino, quello che vede col cuore. Tuttavia, io ritengo di non essere abbastanza vecchio per dimenticare, né di essere abbastanza stupido per far finta di sapere tutto.

Io ho sete: e lo confesso. Io non mi accontento: quasi mai.  Provo a leggere buoni libri ché «è come chiacchierare con le persone migliori del passato» (Cartesio). Ne compro di più di quanti ne riesca a leggere perché penso siano come «riserve di grano da ammassare per l’inverno dello spirito» (Marguerite Yourcenar).

Ma soprattutto provo a interrogare l’uomo: tutto l’uomo ed ogni uomo. Soprattutto, interrogo le donne che, sia detto a onor del vero, credo abbiano una marcia in più quando si tratta di interrogare il Mistero. E che amano regalare libri buoni.

Per il resto, ammiro persone come Beethoven. Intendo: non tanto per la luce del suo genio, quanto per la sua umile generosità. Pare infatti che, oltre a lasciarci le sue immortali sinfonie e mentre leggeva le Osservazioni sulle opere di Dio, di Christoph Christian Sturm, Ludwig abbia più volte sottolineato di suo pugno le seguenti parole: «Nel campo che mi è stato designato voglio distribuire ai miei fratelli i doni che ho ricevuto da Dio. Senza egoismo».


2 COMMENTI

  1. Caro Paolo, non ritieni che sia giunto il momento di aprire gli occhi, e cominciare a disubbidire? La supina accettazione delle leggi, specie se emanate da un governo auto-referenziale che calpesta i diritti universali dell’uomo, ha portato in passato a disastri inenarrabili proprio grazie a questa accettazione rassegnata anche da parte di uomini inteligenti. La storia cosa ci insegna?
    https://www.ingannati.it/2020/06/14/lettera-aperta-ad-un-preside-elogio-della-disobbedienza/

    • Gentile Alberto,
      non capisco quale passaggio del mio articolo faccia pensare ad una supina accettazione. Quanto al link postato, mi pare che ci siano autorevoli espressioni in campo scientifico, non necessariamente succubi di questa o quella fonte filogovernativa, di segno opposto. Di certo, io ho conosciuto gente morta di Covid e che non sarebbe morta senza il Covid: gli occhi chiusi o la supina accettazione sono quanto di più lontano dalla mia mente ogni volta in cui penso a loro. Così come mai dimenticherò le lacrime di una madre di una bimba immunodepressa, che mi telefonò terrorizzata dall’idea della riapertura delle scuole senza poter proteggere adeguatamente la propria piccola.

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