Perché leggere I quattro codici della vita umana

Filialità maternità, paternità, fraternità: sono questi, a giudizio dell’autore Ignazio Punzi, I quattro codici della vita umana (San Paolo, 2018).

Non conoscevo la sua penna: me ne ha fatto dono una cara amica ed è stato come trovare, tra le sue pagine, una vecchia conoscenza. Ignazio Punzi, formatore, psicologo e psicoterapeuta familiare, è anche il presidente dell’Ass. L’Aratro e la Stella, curatore di progetti di percorsi di crescita umana e spirituale e nel suo libro riversa per intero la sua competenza, con uno stile franco, sincero, aperto e accattivante, ma anche ricco di contenuti, frutto della propria esperienza e di vaste letture.

Leggere I quattro codici della vita umana, è come misurarsi con quanto ognuno di noi dovrebbe/potrebbe sapere per vivere in pienezza la propria esistenza, nel segno di ciò che la contraddistingue sin dal nostro concepimento: il segno della relazionalità, lo stesso per il quale ciascuno di noi è figlio, ha una madre, un padre, una sorella, un fratello, magari non di sangue.

La famiglia. Nome ormai poli-usato, spesso abusato e bistrattato. È nella famiglia che ognuno di noi scopre la dinamica delle relazioni che ci costituiscono come essere in sé e per/con gli altri: in relazione col mondo e in apertura al trascendente, comunque lo si voglia nominare e persino negare.

Punzi è convinto di poter individuare, proprio nelle esperienze della filialità, maternità, paternità e fraternità, dei veri e propri codici per interpretare la grammatica del nostro esistere, il senso dell’essere qui ed ora: che ci piaccia o no – molto meglio se ci piace – protagonisti del nostro tempo.

E responsabili delle nostre parole: «Noi tutti costruiamo relazioni che alimentiamo con le parole; le parole ci aiutano a piangere la perdita dei nostri cari, con esse progettiamo i giorni che verranno. Le parole ci plasmano. Ci sono parole che suscitano nausea, altre pianto, alcune sono in grado di farci venir l’acquolina in bocca o accelerare il ritmo del nostro cuore o del nostro respiro. Alcune parole ci hanno ferito e addolorato, altre ci hanno procurato gioia, allegria, stupore. Con le parole sveliamo realtà sconosciute e che suscitano disorientamenti meravigliosi e sconvolgenti» (p. 101).

In definitiva, come tutti i visionari – ben altra roba rispetto ai meri sognatori – Ignazio ci propone una nuova e antica antropologia, un modo per uscire dal vicolo cieco della società evaporata, la nostra.

Tuttavia, lo si può fare solo insieme: perché siamo legati gli uni agli altri dal medesimo destino, siamo tutti “figli del dono e della cura”, figli di un padre e di una madre che ci hanno insegnato a “stare in piedi” e a “guardare fiduciosi lontano”.

È un libro che guarda lontano I quattro codici della vita umana: ecco perché pagine così andrebbero scritte più spesso. E, soprattutto, più spesso andrebbero lette. Perché, come ripete don Luigi Verdi, «la vita è troppo breve per essere egoisti».


Articolo precedenteDove l’ho già sentita?
Articolo successivoIo sono Conte, ed io marchese…
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...