Un continuo assistere al risorgere dell’uomo e della vita nelle loro diverse articolazioni
Un recente articolo su Odysseo ci ha ricordato l’attualità di una delle tante idee partorite dal quel infaticabile ‘navigatore della conoscenza’ che fu Charles Darwin nell’aprire il secondo capitolo del libro della natura, dopo il primo aperto da Galilei, e cioè l’idea di adattamento basato, oggi più che mai, sulla necessità del possesso di sempre maggiori conoscenze per far fronte alle inedite e complesse sfide del futuro che ci attendono, sia a livello individuale che collettivo. Ma, anche se non ci rendiamo conto, siamo tutti immersi nel mondo di Darwin che ci ha offerto tutta una serie di strumenti concettuali per indagare il complesso fenomeno della vita dopo un sofferto cammino, del resto ben evidente nei suoi Taccuini 1836-1844; disponibili in italiano grazie a Telmo Pievani e indispensabili per capire meglio il percorso successivo, permettono di entrare nell’ ‘officina’ dove li ha forgiati come un umile e paziente artigiano e nello stesso tempo di assistere, per usare un’espressione del matematico ed epistemologo italiano Federigo Enriques, al ‘travaglio dei concetti ad opera di uno scienziato-pensatore’.
E se, come dirà successivamente un fisico del ‘900 come Ervin Schrödinger, l’obiettivo di ogni ricerca è quello di ‘pensare ciò che nessuno ha ancora pensato a proposito di ciò che tutti vedono’ e non tanto ‘quello di vedere ciò che nessuno ha ancora visto’, l’occhio di Darwin è penetrato così tanto nella rugosità del reale vivente da pensarne le diverse e pluriarticolate ‘ragioni’ sino a innescare quella che da più parti è stata definita la ‘rivoluzione nella profondità del tempo’, come il contemporaneo Bernhard Riemann a sua volta ha compiuto la ‘rivoluzione nella profondità dello spazio’ all’interno del progetto di una geometria non euclidea, considerata per un po’ di tempo una geometria da manicomio prima di diventare un vero e proprio evento di verità grazie alla relatività generale di Einstein. Tra le ragioni del vivente Darwin ha individuato la sua intrinseca ‘storicità’, sul cui valore epistemico ha insistito particolarmente Mauro Ceruti in vari scritti alla luce dei contributi dati da Ernst Mayr e Steven Gould; e storicità sta a significare processo, possibilità, contingenza, molteplicità, non linearità, unicità, fragilità, variazione, combinazione, interazione, interrelazione, incrocio, casualità, relazione, interdipendenza, irreversibilità, circolarità, organizzazione, globalità, emergenza, finalità tutti aspetti che caratterizzano la biodiversità di ogni singolo evento nei suoi inevitabili tempi lunghi e con le sottese plurilogiche complesse, cioè senza fondamenti prefissati e non riconducibili a visioni normative e unilaterali.
Per questo, come è stato chiarito da più parti, dopo Darwin non si può più vedere e pensare la natura, il mondo e l’uomo con le categorie concettuali ereditate dal passato ed il possesso del suo ‘occhio’, il metodo storico in biologia, permette di guardarli con altre angolature sino a poter considerare la teoria dell’evoluzione una vera e propria ermeneutica del vivente, una specie di grande utero dove hanno avuto la possibilità di germogliare e del continuo formarsi le diverse discipline biologiche sino a fornire nuovi strumenti di indagine ad altri ambiti di ricerca come la geologia, la paleontologia, la medicina e la stessa astronomia. Poi ulteriori ricerche avvenute negli ultimi decenni, come nell’immunologia e con lo svilupparsi di un nuova disciplina, la simbiontologia che grazie agli studi di Maureen O’Malley studia i microrganismi che vivono in simbiosi con la specie umana sino a poter parlare con Elena Gagliasso di loro ‘sconfinate simbiosi’, hanno portato ad evidenziare che ogni vivente non è solo portatore di una storia specifica a sé, ma si presenta strutturalmente come un reseau, una rete di relazioni e di storie condivise e incrociate; e non a caso da più parti si parla di ’biografia condivisa’ per ogni forma di vita proprio per indicare i complessi rapporti tra parti ed enti diversi sino ad arrivare a proporre i termini ‘co-evoluzione’, ‘co-esistenza’, ‘co-implicazione’, ‘co-appartennza’.
Tutto ciò non solo ha reso l’ottica darwiniana una indispensabile chiave di lettura del mondo della vita, ma come hanno affermato prima il gesuita Pierre Teilhard de Chardin, poi Giovanni Paolo II in due discorsi tenuti all’Accademia Pontificia delle Scienze, lo stesso Papa Francesco nella ‘Laudato sì’ in ambito cattolico e diverse personalità del mondo laico come ad esempio Edgar Morin, Michel Serres ed altri, getta nuova luce sull’uomo e nel suo posto nella natura, sulle sue responsabilità verso la vita ed il mondo; da un occhio che guarda il mondo come altro da sé da dominare e da utilizzare solo in funzione di suoi bisogni immediati, l’occhio darwiniano con quelle categorie ‘storiche’ ci costringe a prendere atto che viviamo in un mondo dove tutto è stato ed è interdipendente, frutto di delicati equilibri e nello stesso tempo ci ammonisce che ogni scelta umana può produrre effetti irreversibili sulla vita in generale da quella dei singoli a quella del pianeta, ormai da considerare come un organismo vivente con una sua lunga storia a cui va prestata la massima attenzione. Ecco perché prima Teilhard, che ha avuto il coraggio negli anni ’20-’30 del Novecento grazie alle sue ricerche di biopaleontologia di far dialogare la teoria dell’evoluzione ritenuta più in grado di spiegare il mistero della vita con la fede cristiana, ci ha parlato di un destino comune in cui sono coinvolti tutti gli attori presenti nel variegato mondo della vita dove vige in maniera strutturale un clima escatologico proprio in virtù della loro intrinseca incompiutezza; poi Michel Serres ha parlato in più occasioni di ‘pangea’ , di ‘totalità viventi’ come il clima, l’ambiente e la vita che rispetto al passato dipenderanno sempre di più dalle azioni umane con la necessità di riconvertire i nostri paradigmi concettuali e di conseguenza tutto il nostro apparato tecno-scientifico ed economico.
Non è dunque un caso se da più parti e da credenti e non credenti si sta prendendo atto di tutto questo che il mondo di Darwin ci ha messo per la prima volta davanti, mondo che va rivisto in base alle ultime ricerche che grazie al suo occhio impregnato di ‘storia’ sono comunque emerse; se esso viene più metabolizzato a livello concettuale e compreso nel suo giusto spessore socio-epistemico, il che spesso non è avvenuto proprio per la radicale revisione non solo delle nostre visioni del mondo ma del necessario e conseguente cambiamento di stile di vita che comporta, permette di prendere coscienza, come dice Mauro Ceruti in Il tempo della complessità e altra categoria concettuale che trova nel pensiero darwiniano un punto fermo, che si sta verificando un’altra ‘nuova discontinuità nella storia umana’ una volta però preso atto, come la storia evolutiva dell’uomo insegna, che ‘l’umanità è incompiuta’: stiamo entrando nella ‘quarta umanità’ che è ‘la prima umanità a essere consapevole del tempo profondo, ad avere una decisiva responsabilità nei confronti della natura, a dover pensare l’uno ed il molteplice’. E per la prima volta nella storia, volenti o nolenti, siamo costretti a fare i conti con ‘un’universale condizione cosmopolita’, a concretizzarla con scelte mirate e responsabili all’interno di un processo di ‘riumanizzazione’; il mondo di Darwin, come ci ha insegnato Teilhard de Chardin che ha scritto non a caso un Inno alla materia, è un continuo assistere al risorgere dell’uomo e della vita nelle loro diverse articolazioni.