«Sii realista, chiedi l’impossibile»

(Albert Camus)

È strano, ero convinto che Camus fosse già stato ospite dei nostri caffè. E invece no, fino ad oggi il suo nome non l’avevo mai tirato in ballo: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa! Mi batto il petto.

Per rifarmi, ti propongo un caffè a base di concentrato camusiano, il che mi sembra quanto mai adatto al tempo orribile che ci è dato di vivere, un tempo che ci vede tutti forestieri della vita.

Camus e uno: «Sii realista, chiedi l’impossibile».

Camus e due: «La grandezza dell’uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione».

Camus e tre: «La speranza equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi».

Caro lettore, adorata lettrice, sembra anche a te che queste parole possano diffondere luce sui nostri giorni? Io ne sono fermamente convinto.

Ecco, del “realismo” dei pessimisti abbiamo già parlato. A me piace soffermarmi sul realismo degli ottimisti, mi piace pensare che sia proprio a loro che Camus si rivolga.

Certo, siamo in una situazione sempre più insostenibile e crudele; in apparenza, sempre più senza via d’uscita: ma non è esattamente questo il momento in cui chiedere oltre il possibile? Non è quando ci sembra irrealizzabile, che ci tocca osare l’impossibile? E non è quando siamo senza forze che più di una volta, stranamente, per un motivo o per una persona ben precisi, ce le siamo viste centuplicate?

Sì, ne sono decisamente convinto: è uomo e donna grande chi non si rassegna alla propria condizione, chi la sfida, pur nella lucida, serena e accolta consapevolezza dei propri limiti. Perché l’umano è così: misura la grandezza non dall’enormità delle azioni – che, per quanto nobili, sempre piccole e transeunti restano -, ma dal loro valore: da ciò che significano, più che da ciò che sono, specie se significano il contrario di una resa.

Chi vive così, lascia il segno, e proprio nella misura in cui non si rassegna. E chi non si rassegna, vive veramente. Ce lo dice la storia. Lo dimostra molto più l’esperienza di ogni giorno: quella di uomini e donne sconosciuti, più che quella dei cosiddetti grandi eroi che, molto spesso, non sono stati altro che dei sanguinari senza scrupoli.

Mi rendo conto che scrivere di sfida alla rassegnazione – pur contro ogni mia più pia volontà – potrebbe suonare offensivo per chi piange una persona cara, per chi ha perso il lavoro, per chi non può fare la spesa, per chi è in angoscia per la propria e altrui salute, per chi annaspa in solitudine.

Eppure è proprio a tutti voi che siete nell’estremo che vorrei rivolgermi, da pover’uomo qual sono. Un uomo che può provare a donare solo il poco che ha: la voglia di vivere, la determinazione per arrivare, l’impossibilità della resa, la fede nell’umano. Che, a mio umile modo di vedere, è sempre anche divino.

Camus e quattro, aggiudicato: «Quando non c’è speranza, bisogna inventarsela».

Sì. Proprio così. Bisogna inventarsela. Perché non siamo mai stati così tanto realisti come adesso.

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...