
Nell’epoca dei decibel e dell’urlo, i non udenti propongono la lingua dei segni (Lis), fatta di gesti polifonici che impegnano tutto il corpo per esprimere concetti semplici e intensità emotive. È una sfida di civiltà, che passa anche attraverso la musica e l’arte: dalla sordità all’inclusione.
Sordi nativi! Non udenti e forse afoni: uno stigma non disporre dell’udito nell’epoca dei decibel e dell’urlo! Dunque figli di un dio minore. Disabili. Marginali. Votati all’esclusione. Così nell’immaginario sociale.
Ma apprendono la lingua dei segni (Lis), imparano gesti armoniosi, e affrescano nell’aria le meraviglie del cuore: mani che parlano, corpi che vibrano, intensità emotive che si manifestano. Ecco i miracoli della “comunità dei segnanti”, che a Bari, per la prima volta in Puglia, osano rappresentare il Notre Dame de Paris in Lis – il 27 maggio nell’Auditorium della Guardia di Finanza – per rivendicare un obiettivo di civiltà: la loro modalità espressiva, la loro “lingua”, diventi ufficiale anche in Italia, insegnata a scuola, tradotta in pubblico, decodificata in tv, popolare.
Giulia (la zingara Esmeralda), Andrea (Quasimodo), Arianna (Fiordaliso), Carlo (Frollo), Caterina (Clopin), Manolo (Febo) e Saira (Gringoire) sono bellezza, coraggio, arte. Oso pensare: sul palco come nella vita. Con loro, il gruppo delle ballerine straniere, clandestine…
Ci insegnano che la parola è totale. È più di un suono, di una serie di fonemi. È il gesto polifonico che impegna tutto il corpo, la mente e anche lo spirito. È un moto di dentro comunicato con delicatezza, intensità, passione: sempre avvolgente. Il resto è latrato uncinante e violento. Monosillabo a senso unico. Non appartiene al gergo di queste splendide creature che non è vero abbiano qualcosa di meno rispetto agli “udenti”: semmai qualcosa in più!
Ci insegnano che la parola è di tutti. Tutti desiderano comunicare. Perché tutti desiderano amare. Esprimere la propria identità. Partecipare alla vita sociale, di relazione. La sola parola da evitare è quella che genera separazione, distanza, inimicizia. L’unico imperativo da usare è la rimozione di ogni ostacolo sul cammino inclusivo.
Parlano una lingua difficile da apprendere? Dicono di no. Un linguaggio minimo ma modulabile, ricco di sfumature. Quante ne ha la vita se vissuta in pienezza.