
Il Vademecum a cura di don Tupputi
L’efficacia di certi strumenti elettronici che si sono ormai impadroniti della nostra vita privata e politica si misura dalla capacità di semplificare al minimo sforzo i movimenti gestuali e le risposte. Ci ritroviamo nel regno dell’immediato. Al sorgere improvviso di una domanda (“senza pensarci troppo”) vogliamo subito una risposta brevissima (“centoquaranta caratteri o poco più!”) che sappia risolverci i problemi attraverso un “sì” oppure un “no”, un “mi piace” o un “non mi piace”. Non possiamo chiedere di più: il mondo digitale in cui nuotiamo gran parte delle giornate funziona così. Vuoi fare un acquisto? Vuoi raccogliere informazioni su qualcuno o qualcosa? Leggere notizie di cronaca in tempo reale? Immagini o foto? Film? Libri o fumetti? Monitorare la tua salute?… Tutto può essere risolto alla velocità della luce: attraverso il passaggio o l’interruzione di corrente elettrica secondo uno schema acceleratissimo di calcolo. Le relazioni umane sembrano sempre più omologarsi alla vita delle macchine di cui ci circondiamo. Il passo degli Atti degli Apostoli: “In Dio viviamo, ci moviamo, e siamo” (At 17,28) potrebbe mutarsi nell’era preconizzata da una fortunata trilogia cinematografica: “In Matrix viviamo, ci moviamo, e siamo”.
Nulla di cui spaventarci se non fosse che qualcosa sta cambiando non solo nelle nostre abitudini di lavoro o di svago, bensì nel nostro “modo di pensare” noi stessi, gli altri, il mondo,… Dio!
E’ forse Dio la Macchina delle macchine? Colui che è capace di compiere calcoli così elevati da racchiudere in una funzione o algoritmo le infinite possibilità a nostra disposizione?
Qualcuno comincia a crederlo per davvero senza mettere in conto che ciò significherebbe la fine della nostra libertà e quindi della nostra umanità.
In un contesto siffatto, è evidente che la conseguenza più vicina è considerarsi alle prese con un mondo “a due binari”. O adesso tutto è “sì” oppure tutto è “no”.
Qui sta il punto cruciale: la vita umana con tutta la rete di possibilità e scelte concrete che compiamo ogni momento, ogni giorno, potremmo mai riassumerla con una formula unica, precisa, onnicomprensiva, uguale a se stessa in ogni epoca della nostra vita?
Credo proprio che sia contro ogni evidenza. Questo dinamismo un po’ caotico insito nella vita si chiama… vita! E non è lineare, ma piuttosto imprevedibile, creativo, inatteso, sfuggente, ricco di traguardi sognati e frustrati. Insomma: di alti e bassi, di vittorie e sconfitte, di sorrisi e lacrime, di forza e di ferite.
Le relazioni tra noi hanno lo stesso andamento e Dio in Gesù Cristo si piega su di esse come Padre misericordioso. Ah, quanto desidererebbe che i figli non si allontanassero mai dalla sua Casa! Pur sapendo ciò che è Bene, Vero e Bello, l’unica cosa che resta da fare a Dio è “aspettare” il ritorno di noi figli, figlie, non per riservare – come faremmo noi al suo posto – una giusta pena per gli errori commessi, ma per “ricominciare insieme” la Vita. Sì, al centro del messaggio del Vangelo non c’è la morte, bensì la vita e la vita “in abbondanza” (cf. Gv 10,10).
Questo è il compito della Chiesa Madre e don Emanuele ce lo mostra nella sua preziosa “guida” canonico-pastorale, il “Vademecum” che è stato recentemente stampato in nuova edizione, ispirato dal magistero recente e dall’esperienza sul campo. Ho la gioia di essere compagno di viaggio nel ministero presbiterale nella stessa Arcidiocesi e di poter seguire da vicino “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” che don Emanuele ha fatto sue a partire dall’ascolto di tante persone che a lui vengono indirizzate per affrontare questioni aperte dal loro stato di “fragilità matrimoniale”. Sarebbe troppo facile ridurre le richieste di chiarimento a un “sì” o un a “no”. Avrebbe e avremmo tutti di certo molto meno lavoro sulle spalle. Ma d. Emanuele ha deciso di prendere sul serio l’impellente richiamo a farsi prossimo di chi vive questo mondo ipertecnologizzato, iperconnnesso, ma arido di sentimenti, di tenerezza, di contatti “umani” concreti.
“Cirenei della gioia” invitava ad essere don Tonino, ma pur sempre cirenei! Di “Persone-anfora” parla invece Francesco: “Nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengono viva la speranza. In ogni caso, in quelle circostanze siamo chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore si è consegnato a noi come fonte di acqua viva. Non lasciamoci rubare la speranza!” (EG 86).
Come ho avuto modo di sottolineare a più riprese riguardo a questo genere di testi, la sorpresa di vedere un dotto canonista cimentarsi nel raccordo tra la prassi e la dottrina è per me motivo di grande stupore. Il grande sogno “pastorale” di papa Giovanni XXIII nell’indire il Concilio Vaticano II si sta forse realizzando decisamente in questa nostra epoca? Pare proprio di sì e la diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie si ritrova ad esserne fautrice grazie a questo lavoro ricco di leggi canoniche e di indicazioni pratiche per affrontare ecclesialmente una delle piaghe di questo nostro tempo che mina dalle fondamenta le società in cui viviamo.
Non è facile l’impresa di cui ci dà conto d. Tupputi, Vicario giudiziale dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie e giudice presso il Tribunale ecclesiastico regionale pugliese. Gliene siamo grati. Nessuno lo ritiene semplicemente il punto di arrivo cui guardare con accidia egoista paralizzante.
Chiunque degli operatori pastorali deve sentirsi responsabile con d. Emanuele, consci che il compito è davvero arduo e insidioso. La complessità in cui siamo immersi non può essere bypassata con un clic sulla tastiera di un PC o di uno smartphone… per poi passare il resto del tempo a “pettinare” le poche “pecore” che son rimaste nelle nostre comunità. Non lasciamo solo d. Emanuele in questa sfida epocale che ci riguarda tutti tutte e da vicino. Chi di noi non ha o avuto un parente vicino o lontano che non abbia sofferto di questi problemi matrimoniali? Come potremmo restare indifferenti dinnanzi a tali sofferenze?
“E’ necessario – ci ricorda il papa – che riconosciamo che, se parte della nostra gente battezzata non sperimenta la propria appartenenza alla Chiesa, ciò si deve anche ad alcune strutture e ad un clima poco accoglienti in alcune delle nostre parrocchie e comunità, o a un atteggiamento burocratico per rispondere ai problemi, semplici o complessi, della vita dei nostri popoli. In molte parti c’è un predominio dell’aspetto amministrativo su quello pastorale, come pure una sacramentalizzazione senza altre forme di evangelizzazione” (EG 63).
In fondo, il tentativo di d. Emanuele non è stato quello di darci delle risposte preconfezionate sullo schema esemplificativo e diseducativo del Sì/No e basta, ma di fare la propria parte, e invitarci a fare la nostra, con gli strumenti adeguati offerti dal magistero attuale affinché la chiesa colga questa occasione per evangelizzare.
Non siamo stati consacrati anche noi con l’unzione e inviati “per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 418-19)?
Don Vincenzo Di Pilato, sacerdote
dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie
Docente di Teologia fondamentale
presso la Facoltà Teologica Pugliese
e l’Istituto Universitario “Sophia” di Loppiano