
In memoria di padre Enzo Pinto
Si è atterriti e sorpresi, come sempre avviene davanti alle grandi e irrevocabili sciagure. Tra disorientamento, angoscia e rabbia, ci sentiamo scossi e violentati.
Ci sono dei giorni nella vita, come questi, in cui il dolore toglie le parole e ci porta via persino la voglia di parlare.
Quando siamo violentemente costretti a lasciare in un sacco, perché morti di covid, i resti mortali di alcune persone care, sembra che la vita non abbia più né presente né futuro. Lo scompiglio interiore è tale che i discorsi sembrano vuoti e le parole non comunicano più.
Padre Enzo Pinto, dehoniano, nato ad Andria il 4 febbraio 1941, è andato via in punta di piedi. È stato un grande cultore della storiografia andriese e soprattutto della Sacra Spina di Andria. Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade… (Isaia 58,12b): è questa la missione di un prete, affidabile ed autorevole, chiamato a lenire le ferite e riparare le brecce aperte dallo scetticismo, dalla disistima e dalle delusioni.
In tempi di crisi spesso la categoria “futuro”, sembra quasi scomparsa, si guarda ansiosi solo all’orizzonte immediato, mentre è necessario ritrovare le grandi domande critiche attraverso un’attenzione all’interiorità e qui rispolverare quel genuino amore per la terra, la terra abitata da donne, uomini e bambini per riscoprire tra le sue pieghe i tesori scampati alla “furia” dei “mistici del profitto e della managerialità”, ma anche imbattersi tra le loro vittime segnate da una sofferenza nascosta e dignitosa.
Padre Enzo Pinto è stato educatore, insegnante di lettere classiche e moderne, nonché preside in provincia di Ascoli Piceno, Viterbo e Foligno (PG). Lo ha contraddistinto un’appassionata cultura per l’archeologia e l’arte. È stato tra i rifondatori di Tele Dehon: proiettando l’emittente televisiva, da un santuario di campagna, verso le problematiche sociali e assillanti della povera gente. Ha saputo coniugare tutto questo con la tenerezza relazionale dell’accoglienza presso il Santuario del SS. Salvatore di Andria. L’intenerimento è una forza del cuore: è il desiderio profondo di condividere i cammini. La tenerezza, quindi, irrompe quando la persona esce da sé e va verso l’altro: partecipa della sua esistenza, si lascia toccare dalla sua storia di vita.
Dostoevskij parla di tenerezza quale “forza dell’amore umile”. In effetti, non è una virtù dei deboli ma dei forti: amare è una scelta di campo; nel momento esatto in cui si sceglie di amare ci si impegna ad aver cura dell’altro, sempre.
Prima che si apra la porta dell’abisso di fronte ai nostri passi, la tenerezza, quale scelta relazionale profonda, spalanchi la strada per il passaggio dalla società della paura ad una società della speranza!