«L’assassinio è l’ultima risorsa dei vigliacchi»

(Edward Gibbon)

La sua capacità mentale e la cultura che ne conseguìumiliarono l’uomo.  Fu per questo che il vescovo ne decise la lapidazione: “Fate tacere quella donna”.

La domanda è: quanto ci sarebbe stato oggi di diverso se tanti spiriti liberi, come quello di Ipazia, non fossero stati ridotti al vile silenzio?

Vide la luce alla metà del quarto secolo: il rettore del Museo di Alessandria, un saggio stimato che guidava la scuola della città, spinse sua figlia verso la cultura, il ragionamento, la spiritualità ed il sapere, lasciando che cadessero in secondo piano giovinezza e bellezza. Ne fece donna saggia.

Ipazia, così forgiata, sulle spalle il mantello dei filosofi, andava in giro spiegando cosa fossero il potere della ragione e la libertà della mente: non tardò a tramutarsi in musa delle scienze, dell’astrologia e della matematica. Fu sveglia, attenta ed arguta divulgatrice, seguace di Platone e della filosofia del mondo ellenico: prese le redini della scuola quando il padre venne a mancare e non tolse mai a nessuno la possibilità di ascoltare il suo verbo, né fece mai venir meno la sua capacità di ascolto.

Coloro che poterono comprenderla e seppero trarne lumi l’amarono e la rispettarono; coloro che furono solo capaci di vedere in lei irriverenza la disprezzarono fino all’odio.  Non ultimo il nascente potere cristiano che, in una vergine pagana, scorgeva il pericolo di una spietata concorrente e non già il potere di una possibile grande alleata.

Il buon vescovo Cirillo, divenuto santo (!), ne decretò la mortesotto tortura: Ipazia fu ridotta in pezzi e, insieme alla sua biblioteca, andò in fumo bruciando nell’Agorà.

Solo una storia fra le storie che oggi, giornata contro la violenza sulle donne, mi ricorda ancora una volta un sacerdote: era il mio professore di Storia della Chiesa a cui non corrisponderò mai sufficiente gratitudine per quel pomeriggio.

Era seduto sulla cattedra, dava le spalle alla sua sedia posto d’onore, parlava di antichi eventi con la naturalezza di chi sta sciorinando gli avvenimenti della sua stessa vita, il pomeriggio precedente e così, perso in secoli e secoli prima, completamente imperniato da ciascuna delle sue parole e guardandoci senza guardarci, passandoci attraverso, con i suoi occhi cerulei e lo sguardo fisso a chissà quale scena, ci fissò e sentenziò: “Che schifo. Che schifo l’animo umano”.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.