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Chi spera si muove, cammina, corre, inciampa, cade, sanguina e piange.

«La speranza consiste nella possibilità di avere qualcosa da raggiungere»: sono le splendide parole del presidente Mattarella alla fine dell’anno vecchio e all’inizio del nuovo, quando il desiderio di un tempo migliore occupa tutti i nostri pensieri e le nostre aspirazioni.

Sempre che non apparteniamo alla schiera dei pessimisti preventivi, quelli che preferiscono non attendere e non attendersi più nulla, nemmeno dal Natale o dal nuovo anno. Sono persone “di sostanza”, infastidite dai formalismi delle feste. E poi sono troppo, troppo delusi da apparenze e ipocrisie. Una posizione estrema, assolutamente comoda giacchè, come dice Leopardi, «dolor non sente chi di speranza è nudo».

Sia chiaro: il grande poeta non ha nulla in comune con il pessimista preventivo! Magari il suo pessimismo fasullo fosse in grado di partorire i capolavori di Leopardi. Egli è semplicemente uno che si difende. Perché sperare ha un prezzo ed implica la capacità di assumersi delle responsabilità, di investire a perdere, di farsi piccoli. Cose da grandi.

Chi spera si muove, cammina, corre, inciampa, cade, sanguina e piange. Poi si rialza, sorride e ricomincia. L’etimologia della parola, dalla radice spa- legata all’idea di “tendere verso una meta”, parla chiaro. Chi spera, opera e lotta, senza facili utopie e pacifismi disincarnati: sa che soffrirà, ma sa anche che non c’è sconfitta più grande di una vita anestetizzata. Ci sono persone con insospettabili ferite in grado di sperare anche per chi, perfettamente intatto, non vuole sporcarsi le mani; persone piegate e piagate in grado di oliare gli ingranaggi della storia al posto di chi si crede vittima di una fantomatica “stanza dei bottoni”. La stessa che in segreto brama per controllare il mondo e ricrearlo a propria immagine e somiglianza.

Un giorno, passeggiando in una città affollatissima, ho visto la speranza: una giovane donna, seduta a terra e incurante della folla, disegnava con i gessetti sull’asfalto. Sperava di guadagnare qualcosa, certamente. E anch’io ho sperato questo per lei, assieme ad una vita migliore di quella trascorsa a disegnare per strada.

Poi mi sono chiesta se le mie speranze di persona agiata avessero lo stesso grado di ardimento e la stessa capacità di riprodurre bellezza sui selciati quotidiani. Ho scoperto che anche la parola “arte” ha a che fare con il movimento, per quella radice ar- connessa all’idea di “andare”, “muoversi verso qualcosa”. Sperare significa essere artisti del quotidiano, artisti non ufficiali, artisti di strada che investono in colori e pazienza senza eccessivi calcoli e che, caparbiamente, fanno dell’asfalto del mondo, di ogni mondo, un’opera d’arte senza eguali. Anche se la maggior parte dei passanti nemmeno se ne accorge. Anche se agli occhi dei critici, ai quali spetta sempre l’ultima parola, non sei nessuno. O forse sei molto, molto più di qualcuno e occorre tenerti nell’angolo, perchè la tua speranza e la tua arte rischiano di smascherare l’inconsistenza di certe profezie e la bruttezza di certi scarabocchi fatti passare per colpi di genio.

Non sto proponendo di vivere seduti o di abbassarsi più del dovuto, magari per “mantenersi umili”; non c’è forma peggiore di orgoglio, forse. Sto solo dicendo che l’arte della speranza parte dall’amore alle nostre strade e dalla fede nelle nostre mani, nei nostri piccoli gessetti, più potenti dei passi distratti di chi ci passa accanto, a volte per calpestarci, scontento e quindi bisognoso di rendere scontenti noi, imbruttito e quindi infastidito dalla bellezza, sazio e quindi bramoso anche del nostro poco, in evidente disagio da “cantiere di restauro fermo da anni” e quindi concentrato sulle travi fuori posto negli altri. Anche per loro occorre sperare. Con arte, sempre e solo con arte.

Controsenso: usi e abusi delle parole quotidiane

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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)