«La classe, quella vera, intesa come aula, non è un’aula di tribunale»: studio serio e insegnamento autorevole sono ciò che serve per cambiare…

Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili

Le “Lezioni Americane” di Italo Calvino hanno agitato disperatamente, domenica 6 maggio, il “Festival della Disperazione” di Andria, fregiatosi dell’illustre presenza di Vanessa Roghi, storica dell’era moderna e autrice de “La Grande Storia” di Rai Tre. La sua ultima pubblicazione “La lettera sovversiva. Da Don Milani a De Mauro. Il potere delle parole”, edita da Laterza nel 2017, viene definita “necessaria“ da chi vuole disperatamente distaccarsi dalla prostituzione intellettuale che, spesso, finisce per depistare l’opinione pubblica da problemi sociali, quali scuola e politica.

In questi mesi – dice la Roghi – ho ascoltato esternazioni raccapriccianti. Da Paolo Crepet a Susanna Tamaro, il loro concetto di “mala educaciónsembra travalicare le vere difficoltà di inserimento scolastico per sfociare in una lotta di classe sociale. Peccato che però la classe, quella vera, intesa come aula, non sia un’aula di tribunale. Gli ultimi fatti di Lucca dimostrano quanto vacanti siano le considerazioni legate ad esclusività e selezione. Per anni, infatti, le due cose si sono annullate a vicenda, ma l’una non preclude l’altra, si può essere esclusivi includendo le differenze, siano esse appannaggio di disabili, immigrati ecc…”

Come docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre, la Roghi ha da sempre individuato il risultato delle proprie ricerche nello studio dei diversi punti di vista di letterati, ma, soprattutto, di donne e preti. La lettera sovversiva che ci propone nasce dall’intimo encomio per la scomparsa di Tullio De Mauro e dalla celebrazione del cinquantesimo anniversario dall’uscita di “Lettera a una Professoressa” di Don Milani, prodromico testamento sul declino della lingua italiana, lungo i crismi di una Riforma che lo Stato ha ribaltato rispetto alle premesse sessantottine.

Persino l’utilizzo dei neologismi “donmilanesimo“ e “rodarismo“ sancisce la mal riuscita inclusività di una Scuola messa alla berlina di una democrazia appena accennata. La scuola di Barbiana appare lontana, come lontane sono l’abolizione delle classi differenziali (1977) e la rappresentanza di genitori, studenti e personale ATA (1974). L’intento è adibire ogni aula ad ambiente educativo di una Repubblica fondata sul lavoro. Quanto all’applicazione dell’art. 3 della Costituzione, la convinzione della Roghi è che “gli ostacoli ci sono: eccoli lì, si vedono, non sono eventuali, rappresentano la miseria materiale e culturale”.

Combatterli, comporta il ripristino del congiuntivo ai danni di un indicativo troppo generico e superficiale, o l’apertura della prima scuola serale per i contadini e i giovani operai della parrocchia di Don Lorenzo, il “cattolico israelita“ secondo De Mauro; comporta il superamento di certa pietà popolare, tesa alla crescita personale, perché, per la Roghi, la propria individualità si sviluppa attraverso uno studio serio ed un insegnamento autorevole e non per questo autoritario.

Il libro degli errori di Rodari ci libera dagli schemi – aggiunge la Roghi – è umorismo dell’assurdo, dissacrazione dei luoghi comuni, è inquietudine morale che ci immette sulla strada della tolleranza, facendoci allontanare dai pregiudizi”.

Tra i meriti della lettera sovversiva di Roghi c’è anche l’aver ricollocato “Esperienze Pastorali“ di Milani nell’evoluta gerarchia novecentesca della letteratura, con la parola come epicentro delle scosse emotive del primo dopoguerra. Argomento principale dell’epoca è per la Roghi “il movimento naturale di una Repubblica che anno dopo anno cercava, grazie al lavoro di tanti insegnanti, di rendere concreto il dettato costituzionale, magari facendo più attenzione alle condizioni di partenza e non al merito”.

Parole sante, disperate e sovversive.