Il suo era un cinema essenziale, umile, artigiano

Nella notte di domenica 6 maggio è morto nell’ospedale di Asiago, dove era ricoverato da venerdì, Ermanno Olmi.

Mi si permetta una metafora, nell’era aliena del conformismo era uno che le scarpe con cui girare le sue pellicole, se le cuciva a mano. Un sarto delle immagini e delle parole, un uomo come pochi. E il sottoscritto molti dei suoi film non è mai riuscito ad apprezzarli perché troppo vicini all’essenza della vita, alla radice del parlato, al principio di ogni cosa: occorre un vissuto non indifferente.

Nasce a Bergamo il 24 luglio del 1931.
Era un regista ma ancora prima un uomo cui piaceva raccontare il mondo contadino, lo strato più umile dell’humus umano.
Il suo era un cinema essenziale, umile, artigiano.

Aveva cominciato girando documentari tecnico-industriali per la sezione cinema della EdisonVolta, dove lavorava assieme a sua madre: suo padre morì nel secondo conflitto mondiale.

Intorno al 1960 fonda con l’amico Tullio Kezich, sceneggiatore, la casa di produzione “22 dicembre” e scrive e gira il suo primo lungometraggio nel 1961 “Il posto”: un dramma di vita che segue le vicende di due giovani alla ricerca di un lavoro.
Nel 1965 gira “E venne un uomo”, una biografia di Papa Giovanni.

Nel 1977 gira “L’albero degli zoccoli”, ambientato nelle campagne bergamasche e recitato da attori non professionisti tutto in dialetto: considerato un capolavoro dalla critica, vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes. La trama è la trasposizione di una favola contadina dell’infanzia di Olmi, i contadini tagliavano e intagliavano il legno degli alberi per farne degli zoccoli che permettessero ai propri figli di raggiungere a piedi la scuola.

Nel 1984, costretto da una malattia gravissima a sospendere la sua produzione, fonda la scuola di cinema “Ipotesi cinema” a Bassano del Grappa, in cui si formeranno autori come Francesca Archibugi.

Nel 1987 vince il Leone d’Argento a Venezia con il film “Lunga vita alla signora”.
Nel 1988 sempre a Venezia vince il Leone d’Oro con il film “La leggenda del Santo bevitore”, sceneggiato assieme a Kezich. Nel 1993 dirige Paolo Villaggio nel “Segreto del bosco vecchio”.

Ha girato ancora ma la mia cultura su di lui si ferma qui.

Al cinema ora manca un punto cardinale, la rosa dei venti è spoglia, la bussola ha perso il nord magnetico.