Il 10 febbraio si fa memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata sul Confine orientale

I primi anni duemila sono stati importanti per l’istituzionalizzazione della memoria delle tragedie che hanno segnato il secondo conflitto mondiale. Nell’articolo del 27 gennaio facevamo riferimento alla legge 211 del 20 luglio 2000 che istituiva la “Giornata della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

Era il 2004, invece, quando fu promulgata la legge che creava la giornata in memoria delle “vittime delle foibe dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale.”

Complessa la storia del Confine orientale, un pò come tutte le dinamiche che hanno segnato i destini dei popoli balcanici.

Il giorno scelto dall’Italia per celebrare le vittime è quello della data di firma del Trattato di pace di Parigi, 10 febbraio 1947, che consegnò alla Jugoslavia l’Istria, Zara e le isole dalmate. Sostanzialmente il confine fu diviso in due parti de facto restò fino al 1954, data del memorandum di Londra, de iure fino al 1975 con gli Accordi di Osimo: una zona A appartenente all’Italia, compresa Trieste che assumeva anche lo status di Territorio Libero; una zona B concessa alla Jugoslavia.

Dopo la prima guerra mondiale l’Italia amministrava la Venezia Giulia e la Dalmazia.

Il governo fascista non esitò a reprimere la popolazione slava, che era più della metà, e durante la seconda guerra mondiale molti partigiani furono fucilati.

Ma le macro dinamiche del conflitto finirono per ribaltare la situazione.

Si possono rilevare due momenti distinti nei quali furono perpetrate nei confronti degli italiani violenze: la prima ondata dopo l’armistizio di Cassibile; la seconda a partire dalla presa di potere da parte dei partigiani e dell’Esercito jugoslavo.

Imprecisato è il numero delle vittime che oscilla tra i tre e i cinquemila, anche se qualcuno ha affermato che potessero essere anche diecimila.

I motivi della violenza erano diversi.

Spesso venivano colpiti gli italiani e coloro che avevano fatto parte del regime nazifascista o addirittura si assisteva a dei veri e propri regolamenti di conti.

Le foibe sono delle cavità profonde presenti nell’aspro territorio carsico, dove vennero giustiziati italiani, fascisti o persone non gradite al regime titino. La modalità di uccisione era disumana: sull’argine della cavità, profonda in alcuni casi anche centinaia di metri, erano disposti i giustiziati tra loro legati con un filo di ferro stretto ai polsi. Quelli più prossimi al baratro venivano mitragliati e nel cadere trascinavano con sé tutti gli altri. Coloro che sopravvivevano alla caduta restavano per giorni sui cadaveri, in attesa dell’inevitabile morte.

L’occupazione jugoslava comportò l’esodo di tanti italiani che tornarono nel nostro paese, alcuni tuttavia preferirono cercare una nuova sistemazione in Australia o nelle Americhe.

Eric Gobetti nel 2020 ha pubblicato per Laterza E allora Le Foibe?, un libro che cerca di fare chiarezza su una delle vicende più intricate della nostra storia. Quest’opera è rivolta sostanzialmente a coloro che di foibe hanno sentito parlare in maniera superficiale o non ne sanno proprio nulla.

È un fact checking, cerca di portare la storia alla sua realtà e a collocarla in quel particolare ambiente geografico che, come dice l’autore, è il Confine orientale “che va compreso (anche se ovviamente non giustificata) nel suo contesto: quello di una regione devastata dalla guerra, dalla morte, dalla sopraffazione.” Come ricorda la massima “per comprendere la storia è necessario conoscere la geografia”, quella particolare zona dell’Europa è da sempre un crogiuolo di popoli che hanno vissuto tra loro anche pacificamente e che gli eventi bellici hanno saputo separare con il loro carico di odio e violenza. Gobetti non nega la veridicità degli eventi accaduti ma vuole dare giustizia alla realtà, decodificarla dal filtro ideologico di cui questa vicenda forse si carica più di altre, dove si corre il rischio di una rilettura fuorviante di una certa destra, mistificazione di un passato che è stato ben altro: “Norma Cossetto, una giovane donna istriana violentata e uccisa nell’ottobre del 1943, si presta perfettamente a quest’uso propagandistico della tragedia. Non a caso essa viene talvolta definita la “Anna Frank italiana” e nel 2005 le è stata attribuita la medaglia d’oro al merito civile […]. Norma Cossetto viene arrestata dai partigiani comunisti non perchè italiana ma perchè fascista”.

Gobetti è convinto che la gran parte delle violenze fosse stata inflitta ai fascisti, come nel caso esposto qui di seguito: “Un caso emblematico è quello di alcuni quadri intermedi (impiegati, capo-operai) della miniera di Arsia/Raša, che vengono linciati dai lavoratori. Queste persone sono probabilmente uccise perché ritenute responsabili di un grave incidente occorso più di tre anni prima (il 28 febbraio 1940), quando erano morti 185 minatori.”

Agli italiani non sarebbe stata imposta nessuna fuga forzata, come dimostra la testimonianza di Giuseppe Bulva: “All’epoca è un ragazzo di diciott’anni, nato e cresciuto sotto il regime fascista, e guarda con terrore all’idea di vivere in un paese comunista, per di più governato dagli s’ciavi . Così sceglie di andarsene. Il problema, però, è che le autorità jugoslave respingono più volte la sua richiesta. È un ragazzo nel pieno del vigore fisico e mentale: c’è bisogno di gente come lui per ricostruire il paese, per fondare una società nuova. Inseguito ai rifiuti delle autorità e a due tentativi di fuga falliti, alla fine il nostro testimone decide di rimanere. Non se ne pentirà: cittadino modello, lavoratore instancabile, diventerà una delle penne più brillanti del giornale cittadino in lingua italiana”.

Difficile arrivare a una conclusione chiara sugli eventi del Confine orientale e le pagine di Eric Gobetti, spesso fatto passare per negazionista, mettono in risalto tutta la complessità di un evento che Salvini ha definito la nostra Shoah: I bimbi morti nelle foibe e i bimbi di Auschwitz sono uguali. Non esistono martiri di serie A e vittime di serie B”. È giusto, come Gobetti afferma, contestualizzare le vicende nella sua dimensione storico-geografica, con dinamiche per nulla difformi a quelle accadute durante la seconda guerra mondiale. Difficile ritenere che la Shoah, che è assistita anche da una mole di fonti e testimonianze imponente, possa ricadere in una narrazione di sinistra, socialcomunista se così si può dire, più facile invece che proprio le foibe e l’esodo giuliano-dalmata si prestino a una sorta di rivalsa di una certa destra, ad revisionismo pericoloso.

E allora le foibe?

La storia si fa con le fonti.

Eric Gobetti ha dimostrato, in quei pochi stralci che abbiamo citato, che fosse necessario fare luce su tutto ciò che accadde e che fosse importante trovare un realtà condivisa, che renda giustizia a tutti, agli italiani, ai popoli del Confine orientale e alla storia, così come afferma nel suo libro: “Sia chiaro che non si vuole contrapporre un’altra verità a quella “ufficiale”, né tantomeno negare o sminuire una tragedia. Lo scopo è piuttosto quello di contribuire alla conoscenza di questi eventi dolorosi, fornendo al lettore uno strumento utile alla comprensione e l’opportunità di allargare la propria visuale”.


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