
“La felicità è come una farfalla: se la insegui, non riesci mai a prenderla;
ma se ti metti tranquillo, può anche posarsi su di te”
(Nathaniel Hawthorne)
Lo scrittore americano dell’Ottocento Nathaniel Hawthorne, autore del famoso romanzo “La lettera scarlatta”, paragonava la felicità alla cattura di una farfalla, che è un’impresa piuttosto ardua.
Ebbene, provateci e vedrete, se mai ci riuscirete. La si rincorre freneticamente, ci si apposta per sorprenderla, ci si organizza per ottenerla a ogni piè sospinto e inesorabilmente essa ci sfugge, anche quando ci sembrava di averla acchiappata. Eppure non è impossibile conquistarla e Hawthorne indica una strada, quella della quiete serena.
Quando si è in pace con la propria coscienza, impegnati nelle piccole cose quotidiane, affidati agli affetti semplici e sinceri, ecco che la farfalla della felicità si posa su di noi. È una presenza lieve, ad ogni sussulto può svanire nell’aria.
La felicità, tuttavia, non è né il piacere né l’allegria. Il piacere è qualcosa di fugace e illusorio, che si tende sempre a ripetere, sperando che possa appagarci una volta per tutte; l’allegria, dal canto suo, può essere più a portata di mano, fa clamore, è rumorosa, ma dura solo un’ora o poco più e poi si dissolve, un po’ come quelle farfalle che hai afferrato per le ali e, appena ti distrai, ti sfuggono lasciandoti solo una polvere colorata sulle dita.
La vera felicità, invece, è un dono che irradia il cuore e la vita, ma che ha bisogno necessariamente di semplicità e purezza interiore.
Nella cultura odierna, si tende a ricercare solo ed esclusivamente il piacere che svanisce e che pian piano sbiadisce o ci si accontenta di piccole gioie o allegrie da “carpe diem”.
Oggi come oggi, già dall’età dell’adolescenza, ma anche tra chi far parte del “club degli –anta”, si nota la ricerca smodata del piacere nelle sue diverse e svariate forme, ma che portano a una tristezza più drammatica, perché non si è riusciti a trovare la felicità piena, duratura e permanente.
Un altro autore come Julien Green scriveva nel suo monumentale Diario: “Se volete sapere dove non abita la felicità, frequentate i luoghi di divertimento: lì troverete briciole di piacere… ma di felicità neppure l’ombra!”.
In realtà, a quanto pare, l’uomo non attinge la felicità per via di riflessione, della conoscenza: cioè egli non sa di essere felice, ma si sente felice.
La felicità, in altri termini, non è uno stato gnoseologico, ma ontologico.
Allora continuiamo a cercare con retta disposizione interiore la felicità, ben sapendo che la felicità non la si ha, ma la si vive.
La felicità non è possesso, ma l’essere circondati, l’essere “dentro”, come un tempo nel grembo della madre.