
Intervista a Egidia Beretta
Qualcuno potrà pensare che Vittorio Arrigoni sia patrimonio solo di una banda di pazzi: gente a metà tra il fanatico e l’idealismo esasperato, quello da testa tra le nuvole. Per gente così, è probabile che il 15 aprile sia passato inosservato. Ma per chi in Vittorio Arrigoni riconosce un uomo vero, un simbolo di pace e libertà, di dialogo tra i popoli e le culture, il 15 aprile è stato giorno della memoria. Perché Vittorio Arrigoni è stato ammazzato il 15 aprile 2011. E ancora non ci sembra vero.
Egidia Beretta, la mamma di Vittorio, dal giorno della sua morte ne ha raccolto il testimone e gira infaticabilmente tra scuole e auditorium vari per rilanciare il messaggio di “Vik”, come lo chiamavano gli amici. Abbiamo un appuntamento telefonico e la mano trema, mentre compone il numero del suo cellulare. Già si sa di darle un dolore. Già si sa che accetterà di attraversarlo per donare parole di luce. Con coraggio e generosità ammirevoli.
Egidia, quattro anni dalla morte di Vittorio. Tre anni fa, nel suo libro, Il viaggio di Vittorio, scriveva: “Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi”. Si riconosce ancora in queste parole?
Mi paiono ancor di più parole profetiche. Quando le scrissi, non sapevo e non immaginavo che Vittorio, dopo quattro anni, sarebbe rimasto ancora così vivo nei cuori e nelle coscienze delle persone. Questo, oggi, lo tocco con mano: in tutti i viaggi che faccio con lui e per lui, dalle lettere che ricevo, dai pensieri che mi vengono indirizzati. Quindi, sì: sono convinta che sia proprio come scrissi tre anni fa.
Lei ha anche avuto modo di precisare che non desidera che Vittorio sia presentato come un “eroe” o come un “martire”, io aggiungerei neanche come un “folle”: allora come vuole che venga ricordato Vittorio?
Ognuno trova in Vittorio quello che più gli è affine. Vittorio vorrei che fosse ricordato proprio come persona umana, come colui che ha seguito proprio per primo quel messaggio, quell’invocazione, quel grido che lui ci ha lanciato quando era a Gaza, sotto le bombe israeliane. Un grido che ci invita a ricordare ogni giorno e sempre l’umanità che è dentro di noi e l’umanità che ci circonda. Perché, quando Vittorio scriveva che, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, apparteniamo alla stessa famiglia che è la famiglia umana, ci ha lasciato veramente una strada da seguire, una indicazione di vita. Desidero, dunque, che venga ricordato il Vittorio che ha fatto scelte coraggiose, il Vittorio che non ha mai abdicato alla sua coscienza e che ha cercato di essere coerente fino in fondo.
Probabilmente Vittorio non avrebbe potuto immaginare che l’operazione Piombo fuso, di cui ancora ricordiamo i suoi fedeli reportage, sarebbe stata seguita dalle, se possibile, ancora più sanguinarie Colonna di nuvola (2012) e Margine Protettivo (2014). Sembra quasi che Israele avverta la necessità di sganciare periodicamente il suo carico di morte su Gaza. Quale sarebbe stata la reazione di Vittorio?
Vittorio magari ci sarebbe rimasto ancora sotto le bombe dell’ultima strage, quella dell’agosto dello scorso anno. Avrebbe lanciato il suo grido. Anche se io penso che, rispetto a Piombo fuso, ci sia stata più informazione, più attenzione. Forse anche, lo dico sottovoce, per merito di Vittorio, per aver ridestato l’interesse di tanti sulla Palestina, sulle ingiustizie che si compiono in quella terra che per lui era diventata oramai la terra patria. Certamente, per noi che così da lontano abbiamo seguito queste tragiche vicende, è sempre alto il sentimento di indignazione, di orrore. E anche una acuta nostalgia del fatto che Vittorio non fosse più presente a raccontarle come sapeva raccontare lui: con quelle sue parole così chiare, così schierate, ma sempre piene di un grandissimo amore, di una grandissima umanità verso le vittime di quella strage e, di riflesso, di tutte le stragi che si compiono. E non soltanto in Palestina.
Mauro La Mantia, su “La Gazzetta Palermitana”, ha scritto che la fazione salafita palestinese, responsabile dell’assassinio di Vittorio, è oggi confluita nelle fila dell’Isis eppure Israele non sembra preoccuparsene, visto che di fatto i salafiti e l’Isis sono una spina nel fianco di Hamas e legittimano la politica interna ed estera di Israele. Una lettura ardita?
In questo non entro perché non ho tutte le informazioni che mi servirebbero per esprimere un mio parere e, piuttosto che proferire parole vane, preferisco non dirle.
Un’altra collega, Deborah Dirani, su “L’Huffington Post”, ha titolato, lo scorso 15 aprile, “Restiamo (ancora) umani”. Quell’ancora dice tanto: possiamo restare umani, malgrado tutto?
Ho letto quell’articolo. Penso che sia una cosa che noi dobbiamo cercare di fare sempre. Il riuscire a restare umani possono sembrare belle parole, magari vuote, pronunciate davanti a ciò a cui assistiamo. Eppure sono vere, sono vive. Certo, occorre restare ancora umani, perché delle volte viene la tentazione di trasformarsi in esseri sub-umani, come anch’io, sovente, giudico quando ascolto ciò che avviene. Però, questa umanità la dobbiamo sempre conservare perché altrimenti anche la vita perde significato. E perde significato il nostro essere e restare al mondo, in modo completo, come Vittorio ha sempre cercato di fare. Egli ha sempre cercato di trovare la sua strada in questa direzione. E io credo che non si possa fare a meno di provare a restare umani sempre e comunque. Anche qui, da noi. Infatti, Vittorio diceva che la Palestina è anche fuori di casa. Intendo dire che, se noi facciamo della nostra vita una ricerca di giustizia, di pace, di solidarietà, occasioni per conservare la nostra umanità le possiamo trovare anche qui. E così facendo, anche informandoci, qualora fossimo chiamati a fare delle scelte anche più coraggiose, sicuramente saremmo pronti.
“Un sognatore è un vincitore che non si è mai arreso”?
Un sognatore è un vincitore che non si è mai arreso. Lo aveva dichiarato, sorridendo, in un’intervista, nel cimitero di Gaza, rilasciata poco prima di morire: sono parole di Mandela che Vittorio aveva a cuore e abbiamo voluto ricordarle, scrivendole anche sulla sua sepoltura.