Sei anni fa, esattamente tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, ha avuto luogo l’Operazione Piombo Fuso: una offensiva militare lanciata dallo Stato di Israele sulla striscia di Gaza.
Ragioni diametralmente opposte sono state avanzate dalle parti coinvolte nel conflitto e, prima di procedere all’analisi delle stesse, è opportuno esporre in breve i fatti e le loro cause remote.

Il tutto si colloca nel quadro generale (e complesso) della questione israelo-palestinese, che non affronteremo in questa sede. Focalizziamo l’interesse sulla situazione presente a Gaza ai tempi della suddetta operazione così come ancora oggi.
Gaza appartiene all’aerea storico-geografica della Palestina e confina con Israele e l’Egitto. Insieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme est, costituisce uno dei territori rivendicati dai Palestinesi. Per un verso se la Striscia può essere considerata un territorio autonomo e autogovernato dal movimento palestinese di Hamas, al contempo Gaza è territorio occupato da Israele che ne attua il blocco su tutte le frontiere. Hamas ne detiene il controllo a partire da giugno 2007, a seguito della Battaglia di Gaza che vide contrapporsi i militanti del gruppo islamico estremista alla fazione laica di al-Fatah, da sempre alla guida della lotta per l’indipendenza della Palestina. Mentre Hamas saliva al potere, iniziava una nuova fase del conflitto con Israele, caratterizzata dall’imposizione, da parte israeliana, di un embargo sulla Striscia, da missioni di guerra e da assassinii mirati contro i militanti ritenuti pericolosi; da parte di Hamas, la reazione mediante il lancio di razzi Qassam contro i siti israeliani. Seguì una tregua di sei mesi, ottenuta anche grazie alla mediazione dell’Egitto. La tregua fu rotta: Hamas ne attribuì la responsabilità a Israele in quanto continuava ad operare il blocco economico sulla Striscia di Gaza oltre ad attaccare i membri di Hamas in Cisgiordania; Israele respingeva l’accusa imputando ad Hamas e alla Palestina in generale l’interruzione del cessate il fuoco. Il 27 dicembre 2008, Israele lancia l’Operazione Piombo Fuso il cui scopo proclamato è di mettere fine al tiro di razzi provenienti dalla Striscia.
Da subito lo Stato di Israele ha giustificato la sua azione in nome del proprio diritto all’autodifesa, sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. La norma va letta in concomitanza con l’art. 2 par. 4 della suddetta Carta, secondo cui il divieto del ricorso alla minaccia o all’uso della forza vige tra gli Stati sovrani, Membri dell’Organizzazione. La Palestina non è una entità statale, perché la comunità internazionale ancora non è unanime nel riconoscerla ufficialmente come tale. Tuttavia, alla luce degli accadimenti dell’11 settembre 2001 e della “guerra contro il terrorismo”, l’esercizio della legittima difesa è ammesso anche nello scontro tra Stati e gruppi terroristici (Hamas nel nostro caso). Ecco che le motivazioni dello Stato di Israele troverebbero la loro collocazione.
Più in generale, però, la Corte internazionale di Giustizia rifiuta allo Stato di Israele la possibilità di applicare la legittima difesa da esso più volte invocata anche e soprattutto per legittimare la costruzione del Muro dell’apartheid. La motivazione è la seguente: dal momento che Israele è Stato occupante, la minaccia che esso sostiene di subire si originerebbe all’interno del territorio soggetto al suo controllo. L’ipotesi della legittima difesa si realizza invece quando l’aggressione è riconducibile a uno Stato straniero.
Dal canto suo, la Palestina reclama il diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione e soprattutto denuncia il “massacro di civili innocenti” compiuto a mezzo dell’Operazione Piombo Fuso. Con questa accusa le argomentazioni cambiano e più che interrogarsi sulla opportunità del diritto alla legittima difesa, la domanda è se il diritto umanitario e i diritti dell’uomo subiscano violazioni. A riguardo l’invito da parte degli organi delle Nazione Unite è stato pressante: il Segretario Generale dell’Organizzazione ha ugualmente condannato il lancio dei razzi Qassam e “il ricorso di Israele a una forza eccessiva”. Il Consiglio di sicurezza, l’8 gennaio 2009, adotta la Risoluzione 1860, evidenziando l’urgenza di un immediato cessate il fuoco sulla Striscia e il “ritiro totale delle forze israeliane da Gaza”.
Interessante la dichiarazione da parte dell’Egitto che ha definito l’intervento israeliano sproporzionato e arbitrario e, per questo, una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale: la considerazione del Paese è che Israele, dietro la legittima difesa, cela la volontà di persistere con la politica di occupazione.

La conclusione è che a soccombere sono stati soprattutto i civili. Il rapporto dell’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem concordemente a quello del Centro palestinese per i diritti dell’uomo (Pchr), registra che sono morti circa 1400 palestinesi, di cui più della metà erano civili inermi e, tra questi, la maggioranza erano donne e bambini. Senza contare le vittime della devastazione psicologica causata dalle aggressioni.
Affianchiamo le testimonianze di John Ging, direttore dell’UNRWA, e del pacifista italiano Vittorio Arrigoni. Resoconto drammatico, il loro: i bombardamenti su Gaza hanno provocato la distruzione di aree civili, vale a dire, ospedali, moschee, e scuole. Avendo la Striscia un’elevatissima densità abitativa, risulta impossibile la pretesa di colpire chirurgicamente le basi terroristiche. Peraltro, prese di mira anche le scuole ONU, il centro dell’UNRWA di Gaza City, che conservava tonnellate di medicinali e di beni alimentari destinati alla popolazione, le ambulanze della Croce Rossa, medici e infermieri mentre prestavano soccorso, alcuni dipendenti delle Nazioni Unite.

È stato confermato l’uso di armi anti-persona non convenzionali, da parte israeliana, quali: bombe al fosforo bianco, bombe DIME, “cd bomb” e “bombe freccia” dagli effetti devastanti sulla popolazione e sul territorio. Medici per i diritti umani in Israele denuncia che i decessi e le mutilazioni riportate dai feriti sono stati indubbiamente causati da armi illegali di questo tipo.
A ciò si aggiunge l’utilizzo di palestinesi come “scudi umani” e il raduno e la detenzione di un alto numero di civili all’interno di case e spazi aperti a Gaza.

«Così è andata verso le 5.30 di questa mattina, quando abbiamo fermato l’ambulanza al centro di un incrocio e indicato tramite telefono la nostra posizione ad uno dei parenti dei feriti. […] Abbiamo visto girare l’angolo e dirigersi verso di noi, lentamente, un carretto carico di persone sospinto da un mulo. Una coppia con i suoi due figlioletti. La migliore rappresentazione possibile di questa non-guerra» (Vittorio Arrigoni in Restiamo Umani- ManifestoLibri 2009).


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