“Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza”

(Papa Francesco)

Quando l’8 luglio 2013 a Lampedusa, Papa Francesco, tra le tante dichiarazioni fatte contro l’indifferenza del mondo verso i migranti, ha detto che questa è “globalizzata”, ha scosso le interiorità di chi lo seguiva nel pellegrinaggio per implorare perdono della nostra freddezza di fronte alla morte di tante persone che ricercano una via anche rischiosa per sfuggire alle tragedie dei loro Paesi ed avventurarsi verso lidi che immaginano amici, alleati, solidali.

Invece amara scoperta! La nostra Comunità è indifferente e l’indifferenza si espande in tutti i campi e i settori della nostra collettività, come un’onda che si infrange sugli scogli e trascina con se tutto ciò che incontra sul suo itinerario.

Oggi esiste nel mondo una “globalizzazione dell’indifferenza”, dal cuore duro e freddo di fronte alle angosce degli altri.

Si è indifferenti al dolore dell’altro del prossimo, alla sua sofferenza, a ciò che si vive con angoscia. Si è indifferenti alla violenza, alle ingiustizie, agli abusi e soprusi, alle guerre, alla dedizione e passione di tanti volontari, al sacrificio di tanti uomini e donne a favore della giustizia e della verità.

Sembra quasi che tanti siano freddati da quell’indifferenza che trafigge tutto e tutti.

Se poi dalla sfera del personale ci inoltriamo nella struttura che tiene in piedi la “comunità”, ossia dirigenti pubblici, dirigenti privati e, perché no, diversi porporati, penso che questo sentimento sia diventato quasi un capo griffato da indossare giornalmente.

L’indifferenza è da considerare come scellerata decisione programmata di escludere l’altro dalla propria vista, questa è la peggiore malattia contagiosa della nostra società evoluta, una società estremamente egoista per pensare e interessarsi all’altro, al noi, al vicino, figuriamoci poi occuparsi e preoccuparsi dei problemi, delle sofferenze che sono distanti mille miglia, che sono realtà di fronte a noi ma per il semplice fatto del colore della pelle e della provenienza geografica ci inducono a girare gli occhi dall’altro versante.

Viviamo in una società ambigua, confusa e ipocrita ed ognuno di noi rischia di diventare attore protagonista della sua stessa disgregazione. Stiamo perdendo e abbandonando il rispetto per la comunità ed i beni comuni, siamo sempre più indifferenti e lontani da tutto ciò che ci accade attorno.

Cambia tutto, si evolve tutto, progrediamo, ma l’indifferenza, il mostro che annienta tutto e tutti, è sempre lì in agguato e presente in ogni persona.

L’umanità trapassata dall’indifferenza è distaccata di fronte a scene di violenza, di fronte alle ingiustizie. L’indifferenza è diventata obbligatoria nella nostra società, perché consentendo un decente livello di libertà e uno strato di tolleranza, intorpidisce e stona come panacea e fa stare bene tutti poveri, malati, benestanti, collusi e integerrimi.

Tante situazioni nel nostro Paese oggi sono vissute e viste con una disarmante indifferenza, tanto da creare un legame inscindibile tra indifferenza, mediocrità, superficialità e insensibilità.

L’indifferente si accasa al luogo comune. Si conforma alle mode di tutti i tipi.

Non si pone altre domande, non ricerca la verità e la giustizia per fiacca o paura, non va alle radici dei problemi semplici e complessi e non vuole interpretare gli eventi.

Martin Luther King ha detto: “La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano”; e George Bernard Shaw: “Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza della disumanità”.