Si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre il Sinodo ordinario sulla famiglia, già preceduto dal 5 al 19 ottobre dello scorso anno da un altro Sinodo straordinario dei vescovi convocato da Papa Francesco sullo stesso tema.

Il sinodo, pur convocato nel rispetto delle regole fissate da Paolo VI nel 1966 e riviste da Benedetto XVI nel 2006, non può rimanere un’assise di soli chierici dove i laici, pur presenti, non hanno diritto di voto. Tale struttura, senza nulla togliere alle funzioni proprie del Papa e dei vescovi, ha bisogno di essere rivista alla luce dei tanti sinodi diocesani in cui l’apporto dei laici è vivo e determinante. La sensazione è che i preti si siano impossessati di tutte le materie che riguardano la Chiesa, senza dare parola a nessun altro. Eppure la vita della Chiesa appartiene ai battezzati. Esistono sposi e genitori “santi” che avrebbero molto da dire sul matrimonio e sulla famiglia, correggendo un po’ l’impostazione clericale oggi prevalente: si fa presto a dettare le regole; occorre conoscere bene le vicende delle famiglie

La dottrina è importante, ma il riferimento vero è quello della vita. Qui matrimonio e famiglia non sempre si distinguono, tuttavia la distinzione esiste ed è forte. Il matrimonio è l’inizio della famiglia, ma non la esaurisce.

E le tante storie amare di chi vive all’ombra del patto non rispettato? C’è ancora la convinzione che la misericordia di Dio è superiore a ogni manchevolezza umana? Un serio esame di pentimento, azioni adeguate di riparazione (cura dei figli, atten­zione al coniuge separato) e una profonda e completa confessione delle proprie mancanze possono ridare serenità e slancio per una nuova vita.

Purtroppo lo spirito apologetico è lento a morire: il timore che gli appelli alla misericordia e alla comprensione fossero lesivi dell’ortodossia ha acceso certi allarmi per riproporre la “sacra dottrina”, patrimonio inviolabile della Chiesa, soprattutto in relazione alle situazioni ir­regolari, prime fra tutte quella delle famiglie di divorziati-risposati delle unioni di vario tipo, degli omosessuali … tutti alla ricerca di un po’ di pace, spesso dopo lunghi travagli. A costoro in merito alla dimensione di affetto, di tenerezza e di sessualità che vivono, non è possibile rispondere solo che devono essere “casti”. È una non risposta: l’imposizione della castità è fuorviante. La castità è un valore se la si vive come scelta libera e non per imposizione.

Formare una famiglia, scrive Vinicio Albanesi, è sempre una vocazione e una missione! Chi si sente chiamato a tale vocazione deve garantire il proprio impegno per adempiere tale missione e la comunità cristiana accoglierà quanti non hanno potuto se­guire pienamente tale vocazione sacramentale, ma sono sincera­mente desiderosi di rinascere a nuova vita, dopo il fallimento del loro matrimonio. Se saranno impossibilitati a vivere in solitudine, dopo la presa di coscienza dei loro limiti, saranno benedetti perché, in una seconda unione civile, possano vivere la pienezza della vita cristiana.

La speranza è che il Sinodo porti una “Buona Novella” per le famiglie: nessun lassismo, ma tanti compagni di viaggio a decorare la via della perfezione.