Il virtuale e il reale sono due sistemi che oggi interagisco sempre  più ampiamente specie con la massiccia diffusione di comunità virtuali nel web, basti pensare al fenomeno  Facebook.

Ovvero il reale e il virtuale si districano nello stesso tempo e l’utente salta con istantanea velocità dall’uno all’altro. Tuttavia, talvolta i due mondi si incontrano o peggio si scontrano.Essendo, infatti, diverso il sistema e le regole di linguaggio e comportamento, chiunque si relazioni nella rete informatica sperimenta una sorta di fisiologica dissociazione da sé.

Si immagini, per esempio il post pubblicato con Luchino legato all’ albero e le conseguenze mediatiche di denuncia e indignazione contro il bullismo elettronico; da una parte c’è chi conosce “la storia di Luchino”, dell’uomo che è stato e che oggi è, dall’altra l’ intera comunità, che ha speso solo belle parole ma prive di azioni concrete, come educazione al web oppure meglio ancora come scendere con le ginocchia sulla strada per occuparsi e preoccuparsi del disagio, della difficoltà, delle ferite dell’uomo e della sua dignità.

Cliccando e ricercando sul web per approfondire il fenomeno sociale del cyber bullismo si trova questo:

“Il bullismo elettronico, conosciuto anche come cyber bullismo o crudeltà sociale online, è definito come bullismo perpetrato tramite e-mail, messaggistica istantanea, in una chat room su un sito internet o su un sito di giochi, oppure attraverso messaggi digitali o immagini mandati ad un telefono cellulare. Benché condivida alcune caratteristiche con il bullismo tradizionale, il bullismo elettronico rappresenta un fenomeno peculiare che ha cominciato solo recentemente a ricevere attenzione sia sulla stampa comune che nei circoli accademici. Il bullismo elettronico non solo appare ed è percepito in modo un po’ differente dal bullismo tradizionale, ma presenta alcune sfide peculiari nel fronteggiamento” (Kowalski, Limber&Agatston, 2007).

Il cyberbullismo è in aumento e rappresenta una vera e propria emergenza sociale e oggi si sta quasi rinunciando a proteggere i nostri figli dai modelli negativi, proprio perché giungono da ogni direzione.La loro mente è continuamente iperstimolata da modelli di comunicazione totalmente inadatti alla loro età. Questo provoca un’assuefazione tale alla violenza da farla percepire come normale e non eccezionale. Si spoglia della sua valenza negativa e si riveste di quotidianità. Ecco perché poi, agli occhi dei giovani, non appare così sbagliato se la voglia di condividere video sui social network diventa il movente per compiere atti di bullismo. Atti che si realizzano nell’indifferenza, se non nel divertimento, di chi assiste, riprende, commenta. Nulla sembra più così grave.

Tutti siamo in un certo modo responsabili, con le parole, con gli atti, con gli atteggiamenti, dell’educazione delle persone che ci vivono accanto. L’educazione impegna tutta la vita e tutti noi, anche se non ne prendiamo coscienza. Possiamo sempre “progredire”, nessuna società può fare a meno di essere educata, perché solo comprendendo “il valore dell’ educazione” e ciò che resta per compierla non avremmo bisogno di “regredire” privando giovani all’utilizzo del web.

Recuperando “il valore dell’ educazione” possiamo guardare la reale comunità sociale umana associata non dissociata, con occhi lucidi e un cuore presente, perché ciò che rende significativa la nostra vita per gli altri, ciò che rende eterno il ricordo di noi, è la voglia di incidere positivamente nella vita degli uomini, con gesti quotidiani, autentici e sobri, dove l’ordinario diventa straordinario. Le logiche mondane così si capovolgono e la positività umana vince la violenza, e allora la carezza non è sfiorare uno smartphone e l abbraccio fa più contatto di un contatto su Facebook, Twitter o altro, perché a metterci la faccia sei tu in quanto uomo che cresce e non il povero disgraziato di turno.


1 COMMENTO

  1. Virtuale-Reale, sì, il problema c’è. Ma… Prima ancora c’è il bisogno di sentirsi “diversi” dal debole, dallo “sfigato”, di esorcizzare la paura dell’insignificanza o della precarietà della propria vita individuando qualcuno da deridere e che possa rappresentare tutto ciò che temiamo. Il Potere alimenta questo “bisogno di diversità”: infatti il Sindaco (vedere la sua pagina facebook) ha isolato “un gruppo di idioti” dal resto dei cittadini, dalla generalità di una città per sua “natura” accogliente e generosa. Per cui “i quattro idioti” sarebbero un “corpo estraneo” da espellere, punto e basta. Ma i “quattro idioti” sono parte di quella comunità di cui il Sindaco dovrebbe occuparsi, e anzi sono la parte più bisognosa di attenzioni e cura. Ma il Sindaco-Potere preferisce coalizzare la parte “normale” contro quella più debole (anche la vittima di questo episodio è stata “colpevolizzata” per il degrado cui è giunto), operando una specie di “bullismo istituzionale”. All’origine c’è questa dinamica tra potere e cittadino, tra desiderio di (paura di non avere) successo e totale disponibilità dei soggetti a lottare per ottenerlo “ad ogni costo”. Su questo meccanismo di fondo si innesta il problema del virtuale-reale e dell’educazione, la quale ultima non può che essere educazione allo spirito critico, all’uso autonomo della propria “testa”, all’apprendimento della “disobbedienza”, cioè al rifiuto del conformismo. Perchè ciò di cui dobbiamo parlare è soprattutto di come i cosiddetti “normali” si rapportano al Potere per escludere i deboli, e tra i deboli ci sono anche i quattro “idioti”

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