“L’arte è fatta per disturbare”
(Salvador Dalì)
Stasera è in programma il cinema, Port Lligat è affascinante dopo l’ora di cena, ma non ce la posso fare. Ho mal di testa, mi sento completamente annebbiato. Declino l’invito, ma non è giusto che il mio stato penalizzi anche mia moglie: lei, se vorrà, seguirà i nostri amici. Io preferisco restare solo.
Così va, Gala (è questo il nome di mia moglie) esce ed il mal di testa non mi dà tregua.
Probabilmente dovrei provare a mangiare; ma sì, apro il frigorifero ed apparecchio la mia tavola solitaria, decisamente ho fame. Le pietanze non sono poche, eppure non sono del tutto sazio: credo che chiuderò la mia cena con del camembert.
Taglio il formaggio, lo porto alla bocca, lo mangio, la mia testa, la mia povera testa, il dolore fortissimo. Il formaggio mollissimo.
Ha una consistenza tra il morbido e lo sciolto, tonda e scivolosa: la mia testa, la mia povera testa, un martello potente, il delirio costante.
Mi alzo, cammino verso il mio atelier, vorrei sistematizzare la confusione e contribuire all’assoluto discredito del mondo reale. Osservo, nel disordine che regna sui e nei pensieri, la mia tela; ero fermo a quel paesaggio incompiuto.
È Port Lligat, ho già dipinto quella parte della Costa Brava che avevo in testa e mi sono fermato: nemmeno la più pallida idea di cosa dovesse diventare quella tela.
È che non l’ho capita.
È che mi piace leggere solo quello che non capisco. Non capendo posso immaginare molteplici interpretazioni.
La mia testa, la mia povera testa, le fitte terribili: i grandi maestri dell’arte disegnavano bozzetti su bozzetti. Anche io lo facevo, prima di iniziare fare come mi pare, per essere rispettato. Ed ora sento che sto per fare esattamente così: come mi pare.
Il camembert, la sua mollezza: il tempo, la sua relatività. Sto pensando che l’unica differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo.
Il tempo non ha consistenza reale, è solo scandito dagli orologi, ma non esiste una percezione valida tout court.
Ecco, molli, gli orologi sono molli, esattamente come il formaggio. Port Lligat ospiterà esattamente loro: orologi sciolti.
Uno dev’essere messo su un ramo di ulivo spoglio che spunta da un parallelepipedo: l’ordine non ha ragion d’essere. Sarà sgonfio, un orologio sgonfio come un palloncino bucato. L’altro cadrà dal parallelepipedo ed una mosca gli farà compagnia. Un terzo resterà solido e chiuso, ma dal momento che da solido manterrà la presunzione di poter rappresentare ciò che non può essere, sarà destinato ad essere divorato da quelle formiche che mi fanno ancora tanto terrore: ho la fobia di quegli insetti!
Ed un quarto finirà per terra, a fare da corredo a quanto di più molle mi venga in mente: il mio profilo.
Mah, la tela è pronta: solo poche ore fa ho preparato febbrilmente la tavolozza davanti a quel paesaggio senza corpo ed ora eccoci. Io e lei, in attesa che torni Gala.
Gala, mia moglie. Ne sono decisamente innamorato, ma in questo delirio che ha dato vita a quello che già so sarà considerato un capolavoro, mi chiedo se potrebbe mai capire che non sono colpevole di amare anche oltre lei.
Il tempo non ha una definizione, figurarsi le persone. Siamo tantissimi su questa terra e non può passare davvero data per credibile la presunzione per cui la persona che amiamo sia quella definitivamente giusta in mezzo all’universo. Intendo: giusta lo è, ma un po’. Anche un po’ tanto, ma un po’ di giusto ci sarà in chiunque altro giusto potrà sembrarci.
È un fatto di buon gusto il mio: ammetto di amare oltre. Cosa o chi, non è importante, ma sta di fatto che me ne sono accorto. Oltre Gala io posso amare e non posso in alcun modo evitarlo.
E penso all’oggetto di cui parlo, che sia o meno umano non fa mica differenza: di certo l’ho sognato, ho bramato il suo essere completamento di qualcosa che non so definire. Ad un certo punto ho scoperto che esiste.
Esiste, è in questo mondo, mi è capitato di averne assoluta certezza, non è ortodosso dirlo, ma è vero ammetterlo e fra l’ortodossia e la verità, io scelgo la seconda, sebbene sappia di non poterla palesare.
E non la paleserò, non mi serve a nulla farlo. Ciò che per me è importante è saperlo, averne la prova tangibile: un dono che non ha prezzo, come il tempo che non ha forma.
C’è una parte di mondo che è in assoluto il pezzo necessario per me, per i miei vuoti, per i miei spazi non colmati, che ora so non essere incolmabili.
L’unica differenza fra me ed un surrealista è che io sono un surrealista: esprimo il pensiero fuori dal controllo della ragione e delle sovrastrutture, non ho preoccupazioni estetiche e morali e la mia ispirazione è data dall’inconscio, che poi si scopre essere sempre il grado più profondo della verità.
Pensateci, i gioielli falsi sembrano sempre più brillanti, sono quelli rari, nascosti, ad avere valore. Come la mia tela di stasera che, dal mal di testa in poi, aveva quale massima ambizione quella di essere esattamente la mia tela, come io non voglio essere che Salvador Dalí e nient’altro. Anche se man mano che mi avvicino, Salvador Dalì si allontana da me.
C’è solo il tempo che non ha tempo e solo gioielli che sanno cosa sto dicendo. Il resto? Il resto non conta, perché quando affronto la verità, il resto cessa di esistere e, nella Persistenza della memoria parte il poeta: il naufragar m’è dolce in quest mare.