
«Ogni volta che una donna lotta per sé stessa, lotta per tutte le donne»
(Maya Angelou)
Oggi ho conosciuto una persona.
O meglio, una donna.
L’ho conosciuta in una situazione “ufficiale”, se vogliamo “di lavoro”, insomma non era un incontro necessariamente informale. Trattavasi di una di quelle situazioni che, per loro stessa natura, io vivo male a prescindere dal fatto che siano o meno “cose belle”. Una di quelle che rientrano appieno nei miei limiti, quelli invalicabili. Quasi sempre invalicabili.
Perché quasi?
E l’ho scoperto oggi, fino a stamattina ero convinta che il muro di amianto contro cui sbatto da sempre, ogni volta in cui devo affrontare vicende del genere, fosse davvero piantato sul terreno della mia esistenza con chiodi inamovibili.
Oggi, tornando a noi, sono entrata in un luogo che è forse una specie di seconda casa per questa illustre sconosciuta, il suo posto di lavoro. Peraltro, nel mio concreto immaginario è risaputo, ogni donna (io inclusa), appena si trucca, si infila i tacchi e si sistema per affrontare qualcosa, si arma inconsapevolmente per diventare anche insopportabile. È un rischio oggettivo, esiste e posso firmarlo con il sangue.
Bene, tutto questo algoritmo mentale era presente nel mio cervello di default e non sarebbe stato un problema. Ero assolutamente preparata a questa eventualità… ma al suo contrario no.
Mi spiego: sono stata accolta da questa donna molto bella, che mi ha anche offerto il caffè. Ho atteso qualche minuto e in quel tempo mi sono guardata intorno. Alle mie spalle un totem con degli appunti che recavano un elenco di istruzioni e sotto un enorme, grande, evidente “NO”, scritto a caratteri cubitali in stampato maiuscolo. Subito a sinistra un quadro: il volto di Gesù Cristo su sfondo scuro, l’incarnato luminoso in sé e uno sguardo a metà fra il pacifico e il sornione. Un attimo, forse il sornione potevo vedercelo solo io, ma ciò che intendo è che ci ho letto questo: “Le istruzioni non sono fatte per te. Le formule neanche. NO. Guardami, sono qui, datti pace… ti do la mia pace”.
È tornata la donna, ho distolto lo sguardo da quel Cristo che non si sarebbe offeso se gli avessi dato le spalle, ci siamo sedute, abbiamo iniziato a sorseggiare e a parlare… era previsto accadesse, necessario per poter andare avanti. Ciò che non era nemmeno lontanamente immaginabile, per me, era ciò che ho iniziato a provare in quel momento e non ho più smesso di sentire.
Non avevo davanti qualcuno con la voglia di “guardarmi attraverso” perché mi conosceva già, non era una persona legata a me da qualcosa che potesse farle venire il desiderio di “vedermi” dopo avermi necessariamente guardata… io avevo davanti una sconosciuta e per la prima volta dopo interi lustri mi sono sentita a-s-c-o-l-t-a-t-a. Stavamo solo pacificamente conversando, lo faccio milioni di volte al giorno: aveva le orecchie negli occhi e gli occhi nelle orecchie. Avevo l’ascolto empatico seduto davanti a me e ho iniziato improvvisamente ad esistere. Come avevo smesso di fare da molto tempo e senza che questo rappresentasse un problema.
Vorrei potermi spiegare meglio: quella persona, alla fine dei conti, era un pigiama, qualcuno capace non tanto e non solo di farti sentire a casa, ma di farsi prossima al punto da darti l’impressione di essere davanti alla tv con i popcorn e le pantofole. Beh, tutto questo ha del miracoloso quando sei in una condizione che ti è totalmente estranea e non hai nemmeno bene idea di dove andare a parare, per fare ciò che sei stata chiamata a fare. Ancor meno per me che, notoriamente, faccio molta fatica ad amalgamarmi con Ipsilon o con Zeta che sia.
Morale della favola, oggi, che è la giornata dei calzini spaiati, io (che sono un calzino spaiato) sono grata alla vita: sono inciampata in un altro calzino spaiato che non ha avuto bisogno di raccontare quasi nulla di sé, perché questo aspetto fosse visibile. Fra “diversi”, mi sa, ci si riconosce.
E qui mi fermo, con un consiglio letterario non richiesto, che questa vicenda mi ha fatto venire in mente: Cecelia Ahern, Un posto chiamato qui. In questo testo di narrativa leggera, si parla del posto in cui, a dire dell’autrice, finirebbero le persone scomparse e i calzini non restituiti dalla lavatrice. Forse ci ero finita stamane.
Se vorrete accogliere l’invito, buona lettura.
Grazie vita, grazie Caso, grazie persona sconosciuta.
E grazie a chi mi ha insegnato a dire grazie.