
La possibilità di stare immersi ogni giorno in un flusso ininterrotto di cose, di ricordi dolorosi e di speranze frizzanti…
Capita di incontrarli, così, per caso (forse), ai bordi dei marciapiedi, nei solchi dell’asfalto, nelle aiuole all’ombra di piante ed alberi ben più evidenti: piccoli fiorellini spontanei. Nessuno li ha seminati, nessuno li ha curati, nessuno se ne fa carico.
Se non la bambina che ci passa accanto e li raccoglie per la mamma, come fossero della specie più rara al mondo. Perché bisogna essere come loro per accorgersi delle cose a margine del quotidiano, dei dettagli che sfuggono all’ufficialità dei programmi e che, forse, sostengono i progetti stessi con una forza nascosta, impercettibile e gigantesca.
Ci sono tanti, tanti esili fiori spontanei che, con le loro fragili radici, trattengono i terreni dell’esistenza dai disastri, dalle frane di significato, dagli smottamenti dell’imprevedibile.
È strano parlarne in autunno, la stagione della caducità. Ma, oltre alle temperature, in fondo, ancora estive, la bellezza, la gratuità, il calore di questa stagione richiamano altra bellezza, altro calore, altra gratuità. Richiamano soprattutto la riflessione sulla possibile coesistenza di cose lontane, diverse, contrastanti: i fiori e le foglie secche, il sole del mattino e la brezza fresca, la maglietta a maniche corte e la sciarpa.
La vita è complessa e non perché è un insieme di parti da incollare alla meglio, ma perché è un sistema aperto su infinite possibilità eppure bisognoso di scelte, un albero che ramifica in orizzontale e taglia il paesaggio, cozza contro le cose, si adatta come può all’ambiente, vive fra cielo e terra. O un fiore, un fiore che affronta di tutto e caparbiamente trova mille ragioni ed una per vivere. E la sua spontaneità, la sua purezza, la sua semplicità, non hanno nulla di infimo o primitivo: sono l’abito della più alta complessità. Perché il contrario di complesso non è semplice, ma immensamente povero: di punti di vista, di domande, di obiettivi, di contrasti, di cose irrisolte.
Ho scoperto che la parola fiore è connessa con il greco anthos, che significa parte migliore. Del resto, quando si vuole sottolineare la particolare, eccezionale bontà di qualcosa, la si indica come il “fior fiore” di qualcos’altro.
E il fior fiore della vita sta nel tenere insieme tutto quanto accade, nel saper trarre linfa vitale anche dai terreni più difficili, nel trarre dalle macerie le pietre per riedificare, per “costruire con nobile materiale” direbbe Etty Hillesum. L’ebrea che abbracciò la sua condizione di perseguitata e seppe integrarla in un progetto di vita più alto dell’odio; la scrittrice innamorata di fiori e alberi, che muore dopo aver scritto: “la vita è meravigliosa”. E magari ad Auschwitz nemmeno i fiori spontanei c’erano più.
Il “fior fiore” della vita è la vita stessa: la possibilità di stare immersi ogni giorno in un flusso ininterrotto di cose, di ricordi dolorosi e di speranze frizzanti, di doveri incombenti e di diritti ancora da conquistare, di cose piacevoli e di cose spiacevoli, di dubbi lancinanti e di poche, autentiche certezze. Perché lo stesso accade nel cuore di ciascuno: la complessità, insomma, è di casa. Dentro e fuori di noi.
I piccoli fiorellini spontanei l’hanno capito. E chi li ferma più.
Bravissima Michela leggo volentieri e con attenzione ogni tuo articolo. Sono una carezza al cuore di tanti “fiorellini spontanei “…😘
Grazie cara Antonietta, le auguro mille di questi fiori ogni giorno e la abbraccio