23 anni. Senza vederlo. Senza avere sue notizie. Senza la possibilità di rintracciarlo. Con la paura che fosse morto, con l’angoscia che gli fosse accaduto qualcosa di terribile.
Poi, un nome e un cognome su Facebook. E chi era smarrito, è ritrovato.
Un messaggio, un numero di telefono, una voce:
“Ciao, sono Francesco…”
Si ha un bel dire che i social network impediscano il contatto umano. Tutto sta nell’uso che se ne fa.
In venti minuti si possono recuperare 20 anni? Probabilmente no, ma si può ristabilire un principio di relazione.
“Come sta tuo padre?” – “È morto da più di dieci anni…”
“Mi dispiace. Gli volevo bene… E Antonello?” – “Lo hanno trovato morto di overdose, su un marciapiede, a Milano”.
Silenzio…
“Tua madre?” – “Sta bene. Invecchia”.
“Già” – “Già”.
“Hai figli?” – “Sì, tre. Tu?”
“Uno, fa l’ultimo anno di scuola superiore. Mi ammazzo di lavoro per mantenerlo. Mia moglie è precaria…” – “Certo. È dura per tutti”.
“L’estate prossima vengo a trovarvi!” – “Per forza! Sappi che ti ho sempre voluto bene e te ne voglio ancora”.
“Anch’io…”
… “Allora, ciao!”
“Ciao!”
Brandelli di dialogo, parole come miele su cicatrici vecchie e nuove, spezzoni di umanità.
Un messaggio, una telefonata, la vita di un tempo e il sangue comune che riprende a scorrere nelle misteriose vie dell’amore. Un mondo che torna a travasarsi, da l’uno all’altro.
La speranza che l’affetto sia un legame che nemmeno 23 anni di vuoto possono spezzare.
Una voragine che un incontro a distanza può già provare a colmare.
Il cugino ritrovato.