Il dolore ha rivestito le nostre vite già precarie…

Sabato 18 agosto 2018. È lutto nazionale. L’Italia, quella della gente comune che piange le vittime di una sciagura annunciata e preventivata ma ignorata. Così dicono i saggi e gli eruditi e i postini di notizie.

Cravatte si infilano tra i colli di camicie pulite e stirate. Lacrime corrono tra i solchi dei visi. Urla restano strozzate nella decenza delle gole. I poeti non servono a granché, le parole sono di carta e se le porta un vento freddo improvvisato, le serrande dei negozi non si aprono, ciò che non ha avuto sosta ora si arrende.

Anna Magnani, simbolo di un tempo in cui si costruiva non potendo più distruggere, la guerra aveva schiacciato l’innocenza, affermava che: “I tempi felici sono brevi. A sommarne gli attimi in una vita, non fanno una settimana. Eppure la vita è bella lo stesso”.
Funerali privati per chi non vuole la vicinanza delle istituzioni e funerali pubblici per altri. La morte però ha una casa sola.

Un ponte doveva accompagnare in un’altra meta che non fosse il destino. Un ponte è crollato.

Ho visto, il giornalismo serio esige la prima persona plurale, abbiamo veduto una bara bianca tra le altre scure e quello è il colore di chi meritava altro tempo. E abbiamo desiderato, senza ricordare di vivere in uno Stato di Diritto, che ogni concessione a chi ha omesso di vigilare e riparare fosse ritirata.

Il dolore ha rivestito le nostre vite già precarie. Non possiamo essere solo bugie del tempo, verità negate.
Un viso in una foto al telegiornale non potrà più tornare, gesti, parole perse per sempre. Viene giù ogni cosa buon Dio, fa male avere il peso del cemento su di sé, c’è una mano che non può più tenerne un’altra.

È un giorno di stelle scure che guardano dall’alto senza poter più illuminare.

Ogni cosa sembra assenza di una carezza.

Finisce il cielo oggi e gli uomini non cambiano, perché dovrebbero?

Aspettiamo solo di poter comprendere e perdonare.