A soft focus of a water droplet with reflection of the sky

Ovvero: dell’arte di insistere oppure no

La goccia che scava la roccia è la metafora più famosa della caparbietà, della costanza di chi, alla fine, la spunta. È un’immagine nota, preziosa soprattutto per chi lotta per una giusta causa o per chi educa e sprona a grandi successi e risultati. Eppure, ci sono rocce inscalfibili anche dalla più insistente delle gocce, impenetrabili come niente al mondo. Allora diventa difficile tenere nel cuore il senso dell’impresa e conservare la forza per proseguirla. La verità è che, in certi casi, la goccia dovrebbe arrestarsi, cambiare obiettivo, rendersi conto che, a volte, l’insistenza è totalmente inutile.

Certo, fare un passo indietro sa di sconfitta, di arrendevolezza. E nella cultura del sacrificio sottrarsi allo sforzo e alla sofferenza risulta immediatamente una grande prova di immaturità. È chiaro: i grandi obiettivi richiedono tanta energia, anche sforzo, talvolta sofferenza. Ma qui si parla di cose totalmente irraggiungibili, che tutto sono tranne che grandi e meritevoli di ciò. Qui sorge un’altra metafora, quella di abiti, scarpe e relazioni troppo strette, nelle quali ci si costringe e per le quali ci si convince a rinunciare a se stessi. Pur di dire “ce l’ho fatta!”, pur di dire “non ho mollato!”, pur di sentirsi forti. Ma alla fine di certe imprese si resta svuotati della forza che si credeva di avere: l’insistenza può consumare inesorabilmente, più della momentanea sensazione di fallimento durante un coraggioso, doveroso passo indietro.

In-sistere, che letteralmente significa “star sopra premendo”, contiene un sostare nella cosa o, meglio, un fermarsi per lavorare energicamente sulla cosa stessa, per spremere una qualche essenza fino all’esaurimento. Se, poi, l’esaurimento riguarda la cosa o se stessi, è da vedere. E se l’impresa vale la spesa non è semplice da valutare. Una cosa è chiara: tra lo spendersi e il consumarsi c’è una bella differenza e spetta a noi il compito di capire cosa ci sta accadendo nell’inseguimento di quell’obiettivo, nell’insistenza in quella relazione. Spendersi è un dare che è al contempo un guadagnare, con quella stanchezza che non cancella il sorriso, con la determinazione che non toglie il respiro. Consumarsi, al contrario, implica un impoverimento, perché è un arrancare con tristezza, un affondare dentro le sabbie mobili dell’inutilità. Ecco, l’immagine potrebbe essere questa: l’insistenza nociva è “star sopra” un terreno pericoloso, fagocitante, mortale, sul quale l’effetto della pressione è solo quello di sprofondare.

Le cose, le situazioni, le relazioni da mollare, quelle per le quali insistere significa appassire, divorano da dentro. E il divorato lo sa, lo sente. Solo che arretrare è difficile. Anzi, una volta incappati nelle sabbie mobili è proprio impossibile. A meno che qualcuno non ci tenda una mano e ci tiri fuori, costringendoci a fare uno dieci, cento passi indietro tutti in una volta. Quelli che avremmo dovuto fare da soli, se solo ci fossimo accorti che non ne valeva la pena, se solo ci fossimo, in altre parole, amati. Amati al punto da trattare noi stessi come priorità pure rispetto alla più nobile delle cause. Amati al punto da relativizzare gli insegnamenti sulla sofferenza uditi dai pulpiti più rispettabili e frequentati e le lezioni sul sacrificio offerte dalle più maestose delle cattedre.

Perché, se per insistere e lottare c’è bisogno di amore, per decifrare il tipo di insistenza che stiamo praticando occorre amor proprio. Ne occorre proprio tanto. E non è un invito a mollare tutto quello che è difficile, ma solo quello che rende difficile vivere.


1 COMMENTO

  1. Il mio motto è SE INSISTI E RESISTI RAGGIUNGI E CONQUISTI, ma ho imparato a fare un passo indietro, perché a volte stiamo combattendo la cosiddetta “guerra di Pirro”: son più le perdite che il guadagno.

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