L’Alfabeto della scuola democratica, a cura di Christian Raimo (Bari-Roma, Ed. Laterza 2024).

Il confronto con un mondo ormai avviatosi ad essere sempre più globale per le strutturali interdipendenze che lo sorreggono  ci può dare utili insegnamenti a tutti i livelli per operare in modo adeguato e affrontare le diverse sfide emergenti in vari campi, a partire da quello educativo diventato sempre più cruciale per la condizione umana del XXI secolo; e per parafrasare Antonio Gramsci, dalla sua ‘storia’ odierna si può apprendere molto, anche se spesso mancano  gli ‘scolari’ in grado di farlo e di percepirne la portata. Si impongono così coloro che si affannano a portare indietro l’orologio del tempo col chiudere gli occhi di fronte ad una realtà sempre più cosmopolita e multiculturale; si distinguono in tal modo come non ‘scolari’ operanti in certi contesti politico-culturali, e per lo più dominati da quel ‘sovrano sotterraneo ‘che è il paradigma della semplificazione come l’ha chiamato Mauro Ceruti (Come abitare la complessità, 26 novembre 2020), sino ad arrivare a proporre soluzioni improntate a ricette miracolistiche con richiami inneggianti all’identità e nel nostro paese, ad esempio, alla cosiddetta ‘italianità’ e ‘a insegnare l’Italia’, per riprendere il titolo di un volume a cui si sta dando credito. In tal modo, oltre a rimanere ancora schiavi del ‘Muro del semplicismo’, approdano a nuove forme di jacqueries sterili e patetiche col sembrare dei novelli Don Chisciotte nel combattere l’oggi con le armi di una ragione che non ha fatto i debiti conti con la complessità del reale e, soprattutto, non educata a prendere atto della cosmopolis  planetaria in corso nel senso avanzato da Stephen Toulmin (Rileggere la nostra storia col dono agapico della complessità, 28 marzo 2024); restii a coglierne il grido  col suo bisogno oggettivo di un ‘nuovo pensiero’ da costruire ab imis ed in primis  nel campo politico date le poste in gioco su scala mondiale, trasportano i loro desiderata nell’ambito educativo col rendere così il sistema scolastico lontano dai problemi reali col continuare così a preparare ‘i ragazzi a vivere in un mondo che non esiste’ a dirla con Albert Camus. In tal modo si vengono a costruire logore impalcature concettuali  che fanno da sfondo alla proposta di revisione delle importanti ‘Indicazioni nazionali’ del 2012 per l’insegnamento; e si dimentica, altresì, il fatto che tali strategiche Indicazioni sono state il frutto di diversi “decenni di riflessioni della scuola democratica italiana” sino a diventare “una sorta di carta costituente”, come si evidenzia nel recente lavoro a più voci, provenienti non a caso da chi ci vive ed opera, dal significativo titolo Alfabeto della scuolademocratica, a cura di Christian Raimo (Bari-Roma, Ed. Laterza 2024).

Tale volume aiuta a mostrare l’inadeguatezza e la fragilità delle nuove proposte messe in campo che, tra le altre cose, trascurano il fatto che la scuola democratica è stata frutto di una vera e propria “rivoluzione che ha elaborato uno straordinario strumentario teorico” nel nostro paese con una “una storia luminosa” alle spalle, a partire dagli sforzi di Maria Montessori per arrivare alla scuola media unica con le diverse sperimentazioni dalla scuola di Barbiana a quelle sull’inclusione e alla stessa editoria scolastica; ma questo è funzionale ad un “progetto silenzioso, ma pericoloso”, da tempo e da più parti avanzato, teso a mettere in discussione “il modello di pedagogia democratica” col denunciarne “i presunti danni”,  come  scrive il curatore  del volume Christian Raimo. Per combattere “il rischio di involuzione democratica” che si intravede all’orizzonte, si ritiene necessario sempre più “inventare tecniche di liberazione” per far fronte a tale “contesto di pedagogia nera” che si sta delineando nel cercare di mettere in atto un “monstrum pedagogico”, i cui contorni il volume aiuta ad individuare, come ad esempio l’insistenza sull’identità italiana che aiuterebbe i bambini a superare “l’angoscia della polidentità”, quando la ‘nuova Paideia’  nel senso indicatoci da Mauro Ceruti, che in un mondo sempre più globale  si deve mettere in atto, è quella incentrata sull’educare alla ‘solidarietà universale’, una volta presa coscienza delle sue logiche interdipendenti. Ed il perno di una scuola democratica oggi  è quello di capire tale stato di cose per contribuire a formare in modo critico una nuova ‘architettura interiore’ di ogni suo fruitore con l’essere così in modo programmatico ‘a misura dell’uomo’ , dato che ‘la vita moderna è in balìa della dismisura che invade tutto’, a dirla con Simone Weil; in tal modo in essa si mettono in atto per Raimo “due processi di trasformazione radicale: è una scuola in cui si impara insieme cos’è la democrazia ed è una scuola che pratica la democrazia, come modello e ispirazione per tutta la società” ormai globale nel cercare di attutire gli effetti disastrosi di tale ‘dismisura’ e all’origine degli squilibri esistenti sociali, educativi e politici.

I diversi contributi in Alfabeto della scuola democratica  non a caso prendono in esame alcune “parole” per decostruire da una parte l’impianto ideologico dei tentativi che si stanno facendo per revisionare le fondamentali  ’Indicazioni’ del 2012; e dall’altra stanno ad indicare “pratiche prima che concetti” per ripensare dal di dentro la scuola democratica e rafforzarla nei punti critici in quanto patrimonio acquisito e nello stesso tempo “un laboratorio” in fieri, dove chi vi opera ogni giorno sperimenta “tecniche di liberazione” da metodi fuori del tempo  nel senso avanzato da Mario Lodi nel suo diario di maestro. La prima parola-chiave è quella dell’ascolto da parte di Franco Lorenzoni che fa sua una idea strategica nel  percorso di vita e di pensiero di Simone Weil quando affermava, dopo un solo anno di insegnamento, che ‘nella scuola la cosa principale è formare l’attenzione’; tale necessario passo è  ritenuto insieme “un distaccarsi da sé ed entrare in noi stessi” ed è alla base di ogni vero apprendimento dove i contenuti culturali acquistano senso se si intrecciano con “qualche forma di viaggio dentro noi stessi” col mettere così vere ‘radici’ nel senso avanzato dalla stessa Weil in L’Enracinement; in tal modo si pongono le basi di una scuola democratica legata alla capacità di ricercare e non più una “scuola-tribunale” col suo  semplicistico corredo di voti e verifiche, col fare l’esempio  della “rivoluzione matematica di Emma Castelnuovo”, non a caso esportata fuori dall’Italia stessa. Essa è basata sull’uso delle mani nel manipolare gli oggetti e sui rapporti con la natura e l’arte, oltre a fare della storia delle stesse scoperte  delle verità matematiche, sulla scia di Federigo Enriques,  un percorso più in grado di trasmettere ‘l’idea di averlo fatto per se stessi’, un modo per presentarle non nella loro ‘astrattezza da schiacciare le intelligenze’.

Un’altra ‘parola’-chiave è costituita dal digitale da parte di Fabio Poroli che insiste sull’importanza dell’educazione al digitale dove è ritenuto  “necessario pensare a un rapporto più orizzontale all’interno del contesto classe”; ma è ancora più importante far capire agli studenti che gli “ambienti digitali non sono neutri” in quanto non sono “strutturati per diffondere informazioni, conoscenza, intrattenimento in maniera equilibrata”, ma solo per “catturare la nostra attenzione… ricavare informazioni dai nostri comportamenti”. Bisogna educare e prendere coscienza “della propria dieta mediale”, e la scuola deve avere l’obbligo di “problematizzare la nostra dieta mediale”, capirne le “intenzioni della piattaforma”, di “formare uno spirito critico per  riconoscerne la parzialità” e anche per fornire gli strumenti per immaginarne anche una diversa”. Per questo Raffaele Cariati, nel prendere in esame la matematica e le scienze, si pone il cruciale e sempre più ineludibile problema di “quale educazione scientifica per una società democratica?”, tema che ha visto coinvolti gli stessi scienziati e diversi filosofi della scienza con evidenti preoccupazioni di natura sia didattica che politica  a partire dal matematico Federigo Enriques per finire ad Einstein e a Karl Popper. Si prende atto che “l’insegnamento-apprendimento scientifico è in crisi” dovuto per lo più al fatto che c’è uno strutturale  “ritardo tra la scienza che ‘si fa’ e la scienza che si trasmette”, considerato un ‘ostacolo epistemologico’ sulla scia della non comune presa in  carica di alcune strategiche idee di Gaston Bachelard, espresse in La formazione dello spirito scientifico del 1938 ed in altre sue opere; tale figura di filosofo della scienza viene riscoperta da Raffaele Cariati come vero e proprio “educatore” in quanto, con l’approfondire il percorso di altri pedagogisti come Philipe Meirieu, è ritenuto importante “fare Scuola” con dei “principi” di fondo per “istituirla” come tale in senso sempre più democratico dove ciò che conta “è la ricerca comune della verità… col progettare insieme alla classe esperienze di verità”.

Non a caso Bachelard, nel prendere in esame i non lineari percorsi del pensiero scientifico tra ‘800 e ‘900, è arrivato a “sostenere con forza l’istituzione di una scuola repubblicana, laica e gratuita” ma dopo una severa critica dei modi di insegnamento che veicolavano “solamente verità scolastiche a corto raggio, incapaci di formare in modo significativo”; ma è stato il suo insistere sulla specificità dell’attività scientifica”, dove tra l’altro è necessaria la stessa “formazione continua degli stessi scienziati” in quanto perennemente degli ‘scolari’ come si afferma in Le rationalisme appliqué del 1949,  che lo ha portato ad evidenziare, con la relativa presa in carico in campo epistemologico ed “in ambito educativo e didattico”, la rottura tra conoscenza prodotta dalle singole scienze e la conoscenza comune. Col fare suo tale risultato  e la connessa teoria  bachelardiana degli ostacoli epistemologici con degli esempi tratti dalla stessa storia della scienza, Raffaele Cariati sviluppa una  didattica ed una pedagogia come “un lavoro sull’errore”, come momenti per “interrogare delle conoscenze addormentate” e sviluppare una critica della conoscenza comune, anche se da essa non si può prescindere. Un tale processo, però, permette di sconfiggere “la visione che fa della mente di un allievo una tabula rasa sulla quale iscrivere verità immediate senza cancellature”; e si perviene così a prendere in esame gli studi successivi di Guy Brousseau con i suoi fondamentali contributi alla Didattica della matematica, come la ‘teoria degli ostacoli didattici’  che giocano un ruolo nell’apprendimento delle matematiche, del contract didactique e della fondamentale teoria delle situazioni. Tale insieme di  proposte sono ritenute strategiche per guardare in tale campo al “futuro”, per permettere un “impianto teorico” utile per comprendere “le interazioni sociali tra l’allievo, l’insegnante e il sapere matematico che si intrecciano nel cuore della classe”, per gettare le basi di un percorso più in grado di “gestire il conflitto tra linguaggio matematico e lingua comune per un’alleanza con l’educazione linguistica democratica”, per fare capire meglio che “il corpo scientifico della matematica è un prodotto dell’umanità” e che non esistono culture di serie A e di serie B. L’obiettivo, sulla scia di  Tullio De Mauro diventato in questi ultimi tempi un “obiettivo contro cui scagliarsi’ come afferma Christian Raimo nell’introduzione, è quello di costruire l’everyday language  che può permettere lo sviluppo di linguaggi scientifici in grado di essere compresi da tutti con più facilità.

L’Alfabeto della scuola democratica offre al lettore altre ‘parole’ come didattica, diritto, disabilità, femminismo, formazione (professionale), ideologia, inclusione, orientamento, nido, periferie, razzismo (contro il) e voto, che possono orientare chi vi opera con maggiore consapevolezza del proprio ruolo nel mettere in campo una ‘architettura interiore’, nel senso di Simone Weil, per far criticamente fronte alle insidie antidemocratiche da più parti avanzate; e nel loro insieme aiutano a non disperdere le conquiste faticosamente acquisite in campo educativo e a mettere insieme un ventaglio di proposte “per una scuola nuova” per far fronte ai bisogni emergenti nel nostro tempo. Ma tutto questo presuppone la necessità di costruire insieme una coscienza epistemica adeguata al tempo della complessità che per sua natura abbatte qualsiasi vecchio e nuovo ‘Muro del semplicismo’ sempre in agguato; e Alfabeto della scuola democratica è un grido-percorso che con una serie di proposte concrete aiuta in tal senso nel fornire alcune ‘Indicazioni’ per una ‘nuova Paideia’. Tale obiettivo  deve perseguito da una società sempre più cosmopolita  con consapevolezza critica per costruire le basi di un nuovo Antropocene, dove non si può più continuare a mentire come non scolari nel senso di Gramsci, come si è fatto sinora sui danni procurati al pianeta-terra e all’intera umanità in nome di una ragione chiusa in se stessa e non aperta alle plurilogiche del mondo.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

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