Abitando le contraddizioni…

Già negli anni ‘30  Simone Weil ci avvertiva che ci sono vari modi da parte dell’uomo per ‘mentire sul reale’ e di rifugiarsi nella menzogna di fronte ai fatti specialmente quando essi stanno dimostrando  le loro trame sempre più complesse   messe a nudo non solo nell’ambito delle strategie cognitive ma anche e soprattutto nella vita quotidiana, come nel caso delle recenti vicende relative al Coronavirus; uno dei più sofisticati percorsi messi in atto, come affermano Mauro Ceruti e Francesco Bellusci in un breve ma intenso volume scritto a quattro mani  Abitare la complessità. La sfida di un destino comune (Milano, Mimesis 2020), è quando si permette alla menzogna di ‘cambiare bersaglio’ non più indirizzata a mettere in dubbio la verità, ma la complessità della realtà stessa. L’umanità del XXI secolo sta vivendo sulla propria pelle la realtà di un mondo sempre più interdipendente che sta mettendo in discussione certezze plurisecolari con la conseguente necessità di rivedere anche radicalmente modi di essere, pensare e agire; è certamente questa una ‘crisi cognitiva’ inedita che richiede però, come diceva Gaston Bachelard a proposito delle rivoluzioni fisico-matematiche del primo Novecento, una non comune ‘vigilanza epistemologica’ insieme al coraggio mentale e spirituale di abbandonare definitivamente i vecchi punti di riferimento.

Il mondo umano e naturale, come diceva sempre Simone Weil, rivela sempre di più le  ‘rugosità’ e la pluralità dei suoi ‘significati’ e di fronte a questa stessa intrinseca verità, ottenuta tra l’altro non gratuitamente ma con le forze razionali più sane, l’uomo odierno quasi impaurito sta reagendo con quello che Ceruti e Bellusci chiamano sistematico ‘rifiuto’ della complessità, considerata ‘parola-rivelazione del nostro tempo e, contestualmente controtempo’  col mettere in atto una serie di ‘menzogne’ che trovano nei processi di semplificazione il loro terreno fertile. Tale situazione definita ‘paradossale’ di rimozione cognitiva della ricchezza del reale porta ad ‘abiurare  la nostra  complessità’, ad alimentare ‘drammatiche disgregazioni’, alla frammentazione dei saperi, a ‘separarci illusoriamente dalla natura’, a ‘irrigidire le identità’, a ‘rinchiuderci nei confini nazionali’; in tal modo riprende vigore ‘lo spettro dell’uomo semplificato’, un modello che viene coniugato in vario modo, anche grazie all’uso distorto  delle nuove tecnologie, e che alimenta ‘tendenze regressive’ col rischio di ‘catastrofi future’ in quanto a problemi ormai globali che investono l’intero pianeta vengono date risposte fuorvianti e falsamente rassicuranti di sicura presa sulle menti, nostalgiche della vecchia stagione cartesiana tipica di una certa modernità e non educate alla presa d’atto dell’incompiutezza e delle fragilità della condizione umana.

Una delle ragioni del rifiuto del pensiero complesso e dei suoi approcci ai problemi sta proprio nel fatto che sembra ergersi contro la natura dell’uomo con le sue quasi innate tendenze alla certezza e alla semplificazione, al suo affidarsi ad una razionalità granitica ed essenzialistica dove sembra facile individuare cause e fornire soluzioni magari efficaci a breve termine, ma fallimentari a lungo termine in quanto la menzogna ha sbarrato il passo alla complessità che ha tempi più lunghi per manifestarsi in tutta la sua cogenza cognitiva ed esistenziale. Ecco perché Ceruti e Bellusci insistono in maniera costante sulla ‘cura’ del pensiero stesso a partire dall’abbandono dell’ideale di onniscienza di ispirazione cartesiana, sulla necessità di ‘cambiare paradigma’ per ‘abitare la complessità’ e per creare le condizioni non solo epistemiche perché essa acquisti una centralità funzionale in ogni ambito delle attività umane anche come forma preventiva a partire dal fatto di aiutare a prendere coscienza che pur conoscendo molto, sappiamo ancora non in maniera esaustiva; essa è  frutto di tale più maturo processo di metabolizzazione  nel senso che costringe a fare i conti realmente con le incertezze e fragilità derivanti dal non avere una bacchetta magica risolutrice dei problemi che ci attanagliano.

Per questo, come ha detto con altre parole Dario Antiseri in diverse sue opere, bisogna recuperare una delle poche voci della modernità, quella di Blaise Pascal, che ci ha consegnato un sano ‘razionalismo della contingenza e della fragilità’ e lavorare a rimetterlo nel cantiere del pensiero, una volta liberato dalla cecità di una ragione onnisciente e rafforzato dalla presa d’atto dei suoi limiti intrinseci. L’uomo invece si rifiuta di prendere atto razionalmente di queste intrinseche fragilità, incompiutezze e contingenze strutturali che gli appartengono, su cui lo stesso Ceruti in diverse sue opere ha insistito; e il pensiero complesso per sua natura è tale più maturo razionalismo della fragilità, potenziato dall’apporto non secondario dei risultati scientifici ottenuti in più ambiti e soprattutto dalla presa d’atto dei continui fallimenti del paradigma della semplificazione in ogni campo con tutto il loro precipitato sociale di cui siamo stati e continuiamo ad essere tutti vittime. Per questo si insiste sulla necessità di ‘abitare la complessità’, come indicava la stessa Simone Weil che riteneva necessario ‘abitare le contraddizioni’ per rafforzare le difese della ragione rinvigorita dal continuo vivere in esse e per scacciare le menzogne sempre in agguato e le facili illusioni che la fertile immaginazione umana si procura quando chiude le porte alle intrinseche logiche del reale.

Dopo aver dato voce a quei pochi ‘profeti, scienziati e filosofi  del Novecento’ che hanno gettato le basi del pensiero complesso col prendere definitivamente ‘commiato da Cartesio’ e operato  una ‘rivoluzione silenziosa’ come Gaston Bachelard, Georg Simmel, Ilya Prigogine, Edgar Morin  e Alfo Giorgio Gargani,  si ritiene necessario a fornire ulteriori strumenti per mettere in atto un modello di ‘razionalità allargata’, per progettare una vera e propria paideia che investi con una logica circolare e contestuale ogni ambito umano senza creare artificiose recinzioni;  quella che viene chiamata da Ceruti e Bellusci nuova agorà dei saperi, come essa è venuta a riconfigurarsi in tempi più recenti, permette di superare il ritardo della ‘coscienza’ rispetto alla ‘scienza’ anche se bisogna prendere atto del fatto che ‘il contagio da parte della scienza sul resto della cultura e dell’ethos è stato minimo’ in quanto è stata ridotta ai suoi aspetti puramente funzionali ed applicativi o ‘babilonesi’, a dirla con Simone Weil, neutralizzandone cosi gli effetti più devastanti per una ragione di stampo cartesiano che ‘riduce il complesso al semplice, che separa ciò che è legato’.

Forse sarebbe necessario questa volta però, su scala planetaria e  mutatis mutandis,  il ripetersi del ‘miracolo greco’ dell’invenzione della matematica come scienza, come lo ha chiamato Michel Serres, con tutto il suo precipitato etico-filosofico che portò ad un primo  timido affacciarsi, sia pure in una piccola comunità come l’Atene del V secolo a. C., dei principi democratici; ma questo nuovo miracolo in cui dobbiamo sentirci tutti coinvolti, basato come quello greco e, fatto che spesso si dimentica, sul trinomio inscindibile scienza-epistemologia-politica, può prendere avvio in base ad un processo educativo che deve partire da uno specifico ‘tratto della complessità contemporanea: la dualità tra conoscenza e ignoto’. L’abitare la complessità significa fare i conti in maniera programmatica con questo stato di cose e le sue continue poste in gioco da quella conoscitiva a quella etico-politica;  in tal modo pars destruens (denuncia  dei processi di semplificazione e loro definitiva rinunzia in ogni ambito) e pars construens (costruzione e progettazione di un ‘destino comune’ a livello planetario) concorrono a delineare quella che Ceruti e Bellusci chiamano una ‘terza viatra il globalismo neoliberista, da un lato, e, dall’altro, il risorgere del nazionalismo e del fondamentalismo religioso’.

Non deve dunque meravigliare che un percorso di natura epistemica come quello intrapreso porti sul terreno più umano in generale e su quello  politico in particolare, ma è l’esito inevitabile del sano spirito della complessità là dove esso si incunea; in esso è implicita l’idea di una ‘nuova avventura dell’umano sotto il profilo non solo economico, ma etico, politico e antropologico, capace di prospettare nuovi interessi comuni a tutta l’umanità’, di mettere in pratica ‘un modo alternativo di globalizzazione’, di fornire strumenti per ‘la ricerca di vie per un’estensione metanazionale della democrazia’, che non va imposta o innestata secondo logiche di pura ingegneria politica prima o poi rifiutate con il conseguente pullulare e risorgere dei ‘populismi, degli identitarismi o leghismi regionali’ insieme con ‘la slavina dell’antipolitica’. Ma per combattere in maniera più efficace tali degenerazioni populistiche e quella che Ceruti e Bellusci chiamano ‘la nuova tragedia politica degli inizi del XXI secolo’, dovute allo ‘iato tra una realtà sempre più complessa e globalizzata, da un lato’, e ‘dall’altro, agli schemi e a idee ancorate al paradigma della semplificazione’,  solo un pensiero politico complesso è ritenuto più in grado di farvi fronte in quanto fa i conti con i ‘contesti’, le ‘retroazioni’, le ‘contraddizioni’, concepisce ‘le emergenze’ e prende in debita considerazione ‘le relazioni circolari dal globale al locale e dal locale al globale’.

Ecco perché abitare la complessità è una vera e propria ‘sfida’ per l’uomo del XXI secolo e per trarne dei profitti in ogni campo è necessario rigenerare a partire da essa ‘le attività umane fondamentali: la cura, l’educazione, il governo’; sulla scia di Morin, è considerata ‘la nuova Sfinge’ che liberando l’uomo dalle false illusioni, lo può portare sul ‘cammino nell’era planetaria con l’unica e avvincente meta possibile, per quanto essa richieda trasformazioni sulla soglia dell’impossibile: la Terra-Patria’. Per questo, di fronte alle illimitate aperture che essa offre, non dobbiamo rispondere con delle menzogne, ma allenarci rafforzando le nostre uniche armi che abbiamo, quella della ragione, per accoglierla come parte integrante della nostra vita e non più come una estranea.


FontePhotocredits: Emanuela Veronese
Articolo precedenteLuna
Articolo successivoLa noche del Diez
Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.