
«Sto ancora imparando», disse Leonardo da Vinci in vecchiaia…
Ci ho pensato a lungo: credo si possa definirla solo rinunciando al vocabolario del possesso e della certezza. Credo si possa incontrarla solo emigrando dai luoghi comuni. E sono certa si possa essere con lei in una certa, intima confidenza solo convertendosi alla semplicità. Non alla semplicioneria, ma alla semplicità, cioè l’arte di sbrogliare le matasse del pensiero, di sbriciolare la complessità delle cose, di servirsi di parole adatte a tutti. Perché la cultura non scava divari, piuttosto solca le zolle delle esistenze per trarre il meglio da ciascuna. Del resto, la parola deriva da colere, “coltivare”.
Basterebbe questo per riflettere su tutte le volte che trattiamo la cultura come opposta al lavoro manuale, quando (ancora) distinguiamo, non senza disprezzo, il lavoro della terra e delle mani dal lavoro intellettuale, schiavi dei dualismi mente-corpo, teoria-pratica, parole-fatti. Come se scrivere, studiare, pensare, parlare non comportasse un incredibile dispendio di fatica. Come se per coltivare la terra non servano perizia, tecnica e capacità di previsione di ogni tempo, oltre che la resilienza di trarre il meglio da ogni stagione.
Basterebbe questo per difendersi da tanta falsa cultura in circolazione, che si impone come assoluta, che offre risposte a buon mercato pur di non educare a stare nelle domande, anche le più scomode, che si serve di paroloni solo perché ha paura di poter essere effettivamente colta. Senza sapere che è proprio di chi ha cultura lasciarsi toccare, contaminare, cogliere, rigettare nella terra per ricominciare sempre da capo. Mentre chi di cultura non ne ha si impegna per non farsi capire, perché teme di scoprire quanto ancora ha da imparare.
Basterebbe questo per guarire dal “si dice”, “si pensa”, “si è fatto sempre così”, così come dall’illusione di sapere tutto e di poter dire di tutto e di più. E invece la parola, che non è solo connessa al verbo “coltivare”, ma ne è participio futuro, ci ricorda che per fare cultura servono prospettiva, apertura, cammino. E che probabilmente il sapere coincide con l’andare avanti e con il cercare continuamente, invece che con l’arenarsi in quelle poche, solite cosucce confezionate di volta in volta con una carta diversa.
«Sto ancora imparando», disse Leonardo da Vinci in vecchiaia. Si dovrebbe ricordarlo di più. Si dovrebbe imitarlo.
La domanda contenuta nel titolo è molto stimolante. I libri di antropologia culturale danno decine di definizioni, ma credo che oggi la cosa più urgente sia distinguere la cultura dall’industria culturale. La seconda si è sovrapposta alla prima e l’ha divorata. Credo che sia utile l’equazione cultura = comportamento. Noi sappiamo percepire “lo spessore culturale” dell’altro.
Un proverbio del paese diceva: la vecchia non voleva mai morire…..per indicare che aveva sempre qualcosa da imparare.
Lo rileggo nelle sapienti righe di questo articolo!