Nonostante tutto, noi siamo infiniti

L’attimo prima di un temporale tutto è definito. Ogni dettaglio è al suo posto e ogni confine resiste in una luce particolare, soprattutto se i raggi del sole filtrano le nubi minacciose, creando giochi cromatici e chiaroscurali incredibili. Quando arriva la pioggia, tutto si dissolve e ogni cosa si scioglie in rigagnoli, come quando su una tela dipinta cade un bicchiere d’acqua.

L’attimo prima del temporale, soprattutto quello estivo, l’aria odora già di bagnato: perché in certi attimi c’è già il futuro, c’è tutto. Come l’attimo in cui firmi un contratto e il tuo corpo contrassegna l’evento con reazioni decise, in grado di prefigurare gli esiti di quel passo decisivo. Come l’attimo in cui abbracci chi ami e quella gracile certezza vince ansie e fallimenti, o solo pronostici nefasti.

L’attimo è silenzioso, non perché sempre privo di rumori o parole. Anzi, a volte si perdono attimi preziosi per tacere, per trattenere la lingua da giudizi affrettati e da parole indiscrete. Altre volte, poi, si perdono attimi preziosi nell’assenza e nel mutismo e ci si dimentica di «vivere per i piccoli miracoli, nascosti in certi attimi che non torneranno più», come canta Tiromancino. L’attimo, rumoroso o afono, è potente ed è questo a renderlo silenzioso. La potenza di ciò che nell’attimo e negli attimi più cruciali della vita accade, difatti, è tale da assordare e da lasciarsi dietro uno strascico di vuoto, in cui il di più tace ed emerge solo quello che conta davvero. Come quando, prima del temporale, ricordi la campagna immobile e il profumo umido più dei tuoni; o come quando quel famoso abbraccio cancella il chiasso di passanti e osservanti.

Abbiamo bisogno di attimi. L’attimo è un respiro e senza respiro non si vive. L’etimologia parla chiaro: la parola è legata alla radice indoeuropea av- o au-, divenuta poi aut- o at-, da cui è derivato il sanscrito “atman”, cioè soffio, alito, respiro. Anche la parola “anima” condivide con “attimo” le medesime origini. Il greco “atmós”, ossia “esalazione”, “vapore”, “atmosfera” completa il quadro paradossale di qualcosa di effimero, fuggente, vaporoso, intangibile, poco visibile, eppure forte e vitale. Se non altro perché allena a non lasciarsi sfuggire dettagli capaci di dare senso a tutto e, in questo modo, di rendere la fugacità e la fragilità delle opportunità, non un motivo per deprimersi.

Già, il tutto. Un’altra etimologia vuole l’attimo legato al greco “àtomos”, ossia una quantità non ulteriormente divisibile. Non perché dentro non abbia una vita: l’atomo contiene energia, infinite possibilità e indiscusso potere relazionale. La materia è “una manciata di particelle elementari, che vibrano e fluttuano in continuazione, pullulano nello spazio anche quando sembra non ci sia nulla, si combinano assieme all’infinito come le venti lettere di un alfabeto cosmico per raccontare l’immensa storia delle galassie, delle stelle, della luce del sole, delle montagne, dei boschi, dei campi di grano, dei sorrisi dei ragazzi alle feste e del cielo della notte”, scrive Carlo Rovelli in 7 brevi lezioni di fisica.

Attimi e atomi, insomma, ci dicono che “viviamo in un mondo di avvenimenti, non di cose”, citando ancora Rovelli, microcosmi di un macrocosmo misterioso nei quali l’effimero, il mutevole, il fuggente (chi non ricorderà adesso il celebre film dell’indimenticabile Robbie Williams) detta legge più dei momenti ufficiali, studiati, preparati, estesi, lunghissimi, densi di consapevolezza e lenti abbastanza da permettere a ciascuno di comportarsi come si conviene e, forse, di attaccarsi morbosamente a cose effimere ma nel senso negativo del termine, perché capaci di risucchiare il senso, l’autentica bellezza, la speranza, il valore incommensurabile degli affetti, il privilegio di aver cura di qualcuno.

E invece un attimo ti coglie impreparato, ma ti perdona sempre. E nella misura in cui ti restituisce al tuo nucleo indivisibile, lascia tracce indelebili. Perché si, è vero, certi attimi non tornano, ma ti restano dentro e non smettono di emozionarti, di ricordarti la bellezza non solo di essere, ma di sentirti vivo, di convincerti che, nonostante tutto, “noi siamo infinito”.


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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)