Con buona pace dello ius soli...

Lo zaino è pronto: acqua, un po’ di viveri, la necessaria mappa del sentiero, una maglietta di ricambio. Scarponi allacciati, l’entusiasmo di chi è al primo giorno di vacanza e ha una voglia matta di sgranchirsi le gambe. La prima escursione dopo un lungo periodo di inattività non può essere impegnativa, perciò la scelta ricade su un percorso in discesa, tempo stimato all’arrivo, solo due ore, risalita in pullman.

La partenza è da Trento, con bus di linea che, dopo essersi inerpicato per 20km lungo i tornanti del Bondone, ci lascia nella Piana delle Viote, dominata dalle tre Cime del Cornetto, Doss d’Abramo e Cima Verde, nella riserva naturale che custodisce la torbiera e dà riparo a specie protette di fauna e flora.

Facciamo un po’ di fatica per capire dove abbia inizio il nostro sentiero, il 618, che tanti confondono con il 607, ma alla fine, grazie ai consigli di passanti del posto, ci avviamo lungo la provinciale, per incrociare, dopo un quarto d’ora di cammino, la deviazione che ci porta nel bosco e, finalmente, all’atteso sentiero. La discesa può avere inizio e già ci freghiamo le mani all’idea che abbiamo tutto un pomeriggio davanti da spendere presso il Lago di Lagolo, che è la nostra meta finale, dove pregustiamo di fare un bagno refrigerante: anche se in discesa, la fatica non tarda infatti a farsi sentire e fa così caldo che sembra di essere in Sicilia piuttosto che sui monti del Trentino.

Il passo è quello giusto, contiamo di impiegare anche meno di due ore e raggiungiamo in men che non si dica il previsto incrocio con la provinciale 85, prima di rientrare nel bosco e riprendere il sentiero.

Ma qui succede l’imponderabile: l’indicazione per il 618 non c’è più oppure, distratti, ce la perdiamo. Seguiamo per duecento metri una strada che ci porta a un bivio: a sinistra si sale, ma noi dovremmo scendere, a destra si scende, ma, se pur sollevata, c’è una sbarra, il che ci fa pensare che non sia quella la scelta giusta. Visto che non ci sono altre indicazioni, prendiamo a sinistra, proseguiamo per 300 metri e giungiamo in un prato, mentre la strada si perde…

Ci tocca tornare indietro e, per esclusione, prendiamo l’altra strada, quella in discesa, ma si rivelerà sbagliata anch’essa…

Il resto non è difficile immaginarlo. Vaghiamo per circa tre ore nel bosco, a zig-zag, col gps che non funziona e cercando di orientarci alla meno peggio. Alla fine, quando stremati e impauriti cerchiamo almeno di ritornare verso la provinciale, ecco che riappare il beffardo cartello: 618, su campo bianco e rosso.

Ci rincuoriamo, consultiamo l’orologio, manca un’ora e mezza all’ultima corsa del pullman, ci eravamo premurati di chiederne conferma all’autista, ci diciamo: dai che ci siamo, forse riusciamo perfino a farci un bagnetto dopo tanta fatica e abbiamo tempo sufficiente per arrivare e rientrare con calma.

Si riprende a scendere, ma il tracciato è ripido e bagnato, si scivola facilmente, le gambe si sono ormai irrigidite e dobbiamo stringere i denti e tenere duro per non cascare. Scorgiamo dall’alto il lago dopo circa 40 minuti di cammino, ma ancora una volta troviamo delle indicazioni che ci lasciano perplessi: a sinistra, sentiero delle mule, a destra, parcheggio, ma per andare al lago? Prendiamo a destra: dov’è il parcheggio, lì sarà anche il lago; camminiamo per altri 100 metri e troviamo un cartello: sentiero delle mule, questa volta a destra, in senso inverso! Perdiamo la pazienza: il lago sta in basso, scendiamo e lo troveremo, al diavolo il tracciato. Così è e, tagliando fuori pista, in soli 5 minuti siamo alla meta: il lago!

Ci sono rimasti una quarantina di minuti, troppo pochi per il bagno, ma almeno sufficienti per ristorarci e trovare la fermata del bus: “Quale bus – ci interroga il barista – l’ultimo, anzi l’unico, è partito mezz’ora fa, che io sappia non ce ne sono altri e vi assicuro che, se ce ne fossero, io sarei il primo a saperlo. Comunque, provate a raggiungere la fermata, magari lì c’è scritto. Girate a destra, camminate per 200 metri e siete arrivati”.

L’informazione, si fa per dire, ci costa 5€, il costo di due lattine di the, ma non c’è tempo per chiedere cosa abbia fatto sì che il the a Lagolo si venda a peso d’oro. Raggiungiamo la fermata e, esultanti, leggiamo: ultima corsa, ore 18.20. È fatta! È fatta? …Troppi imprevisti, uno dietro l’altro, per fidarsi di un cartello, pensiamo sia meglio verificare e ci avviciniamo all’uscio di una villetta, lì a due passi, per chiedere conferme alla signora che si affaccia: “Ciao, Camilla, come stai, scendi, vieni giù, Camilla, che ci facciamo due chiacchiere!”.

Per la cronaca, io non sono Camilla e neppure mio figlio che si chiama Federico. Camilla, in effetti, è una poiana che, girando in tondo, ci osserva dall’alto e sembra voler fare l’occhiolino al richiamo familiare… “Un bus alle 18.20? Che io sappia non c’è mai stato!” – “Ma, signora, guardi, è scritto qui sulla tabella” – “Francesco, Francesco, tu ne sai niente?”.

Francesco è il vicino di casa che si è appena messo in auto e sta per andare via: “Ma no, nessun pullman per le Viote. L’unico è quello delle 17.05. Bisogna portarli su in auto…”.

Noi pensiamo, tra l’atterrito e lo speranzoso, che lui appunto è in auto ed è in procinto di avviarsi, magari va verso le Viote, magari ci dà uno strappo, quando lui stesso aggiunge: “Chiedete a Marco, vedrete che lui li porta su…”.

Marco? Scopriamo che è questo il nome dell’angelo custode. Marco si materializza dietro il cancello di una terza villetta, lì vicino. Per l’esattezza gli angeli custodi sono due: Marco e la sua compagna o moglie o fidanzata, una splendida e giovane donna di colore che parla in italiano, con perfetto accento trentino, e inglese, con l’accento tipico della Regina. L’inglese, per la precisione, non lo usa per rivolgersi a noi, ma a due loro amici argentini che li hanno da poco raggiunti. Ci sorride: “Ok, ragazzi, potete salire su a piedi, per le 19.00 ce la dovreste fare…”.

Sguardo sempre più sconcertato e franca risata argentina della donna di colore italiana: “Dai ragazzi, scherzo… Forza, Marco, tira fuori l’auto e portali su, prima che sia tardi”.

Un angelo nero e un altro che si chiama Marco.

Con buona pace dello ius soli.


2 COMMENTI

  1. Ho letto un paio di volte l’articolo e mi sembra di aver capito:
    1. che sei fortunato ad avere un figlio che condivide la tua passione per la natura e le escursioni;
    2. che i sentieri dovrebbero essere segnalati meglio;
    3. che anche in Trentino può far caldo come in Puglia;
    4. che il trasporto pubblico non è gran che neanche nelle terre irredente;
    5. che capita di incontrare persone gentili, che hanno il colore della pelle che vogliono e che parlano anche quattro lingue.
    Quello che non ho capito è cosa c’entri in tutto questo lo ius soli…

  2. Gentile Passeggiatore del cielo,
    sono grato per la profonda attenzione dedicatami e per la puntuale analisi; quanto all’ultimo punto, io credo che ogni lettore da un testo abbia il diritto di cogliere o non cogliere quello che preferisce. Peraltro, le parole “ius soli” sono linkate e rimandano ad un articolo che offre un ulteriore approfondimento sul tema. Cordialità.

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