Si sono celebrati i funerali di mons. Raffaele Calabro, vescovo emerito di Andria: un rito sobrio come sobria è stata la sua esistenza…, fino all’ultimo istante.
I morti non hanno alcun potere di guidare, tantomeno di correggere, la condotta dei vivi. Allo stato grezzo, le loro vite non hanno quasi nulla da insegnare; per diventare lezioni di vita, devono prima essere trasformate in storie. E le storie di mons. Calabro, un “vescovo di provincia”, si snodano là dove bussano gli uomini: una casa di accoglienza, una casa famiglia, una biblioteca, dei centri parrocchiali quali luoghi ormai alternativi di aggregazione, dove non c’è spazio per il culto dell’apparenza, della mentalità dell’usa e getta, terreni dove prosperano l’economia del consumo e quelle abitudini che sono la deriva visibile nella vita quotidiana. La lotta contro i problemi della vita non è fatta di statistiche (anche se la conoscenza serve), ma di azioni concrete.
Lo stile di vita è il risultato di una stretta connessione tra il mondo individuale e la sfera sociale. Ogni uomo, ogni persona, interagisce con la società in cui vive. A volte ne riproduce abitudinariamente i comportamenti, altre volte ne crea di nuovi. Lo stile di vita non si improvvisa, non è fatto di episodi. È lo specchio visibile di un’etica personale. È la saldatura di tre elementi: una spiritualità (come sorgente di senso), un’opzione fondamentale (come finalità che orienta la propria vita), una prassi quotidiana (come concretezza di azioni).
Nella sua abitazione in via Enrico De Nicola ad Andria, dove viveva all’indomani della sua rinuncia al governo pastorale della diocesi andriese per raggiunti limiti d’età, Mons. Calabro aveva fatto della riservatezza e della “severa” semplicità il proprio stile di vita; quasi a sottolineare che per costruire un mondo più sostenibile, nel tempo della globalizzazione, è necessario partire da se stessi, non attendere “l’arrivo di Godot”, non delegare ad altri il cambiamento. Questa sobrietà liberante diventa non una penosa rinuncia, ma una liberazione dal superfluo e restituzione di spazio e di senso a ciò che veramente conta nella vita. In questo la spiritualità propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita che si fonda sulla ricerca della pace interiore e di una fraternità universale. In questo, la sobrietà è una virtù sociale che attende di essere ancora esplorata in tutte le sue potenzialità di trasformazione.
Lungi dal voler immortalare le persone, occorre essere sempre vigili nel tener desta la memoria, onde evitare che semplici personalismi si trasformino in dogmatismi, e idee peregrine diventino dottrine…tutte prive di storia e armate di quell’arroganza criminale che obbedisce solo al detto del vecchio Protagora: “io misura di tutte le cose”. Purtroppo quando qualcuno si dedica all’apoteosi di se stesso, vuol dire che è vicino a crollare sotto il peso della propria essenza sconfinando nel ridicolo.
La risurrezione del passato, tenere vivo il ricordo degli uomini nobili, è un obiettivo che può essere raggiunto solo mediante l’opera attiva della memoria, che sceglie e rielabora. Ricordare è interpretare il passato liberato dalle incrostazioni del tempo; o, più correttamente, raccontare una storia significa prendere posizione intorno ad alcuni frammenti del passato che possono illuminare il mio oggi.