Il contributo di Isabella Loiodice
Tra le diverse sfide odierne, che incombono molto di più rispetto anche al recente passato, sta diventando sempre più cruciale quella educativa che, comunque, è stata sempre considerata strategica per le sorti di ogni comunità o, meglio, per usare un’espressione di Primo Levi, ‘la miglior merce’ da coltivare continuamente per le poste in gioco dei sempre più planetari problemi in cui siamo immersi da affrontare con strumenti appropriati. E dato che in ogni angolo della nostra vita si annida ancora quello che Mauro Ceruti ha chiamato con una significativa metafora ‘il sovrano sotterraneo’, rappresentato dal paradigma della semplificazione ed ereditato da una certa Modernità nel senso avanzato da Stephen Toulmin (Rileggere la nostra storia col dono agapico della complessità. A proposito di Cosmopolis di S. Toulmin, 28 marzo 2024), esso va ‘stanato’ in primis con le armi di una rinnovata ragione. Essa, pur minacciata come sempre da venti avversi, rimane l’unica àncora a cui fare riferimento per ‘costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva’, come ci ha avvertiti Albert Einstein che non a caso parlava anche di ‘fallimento’ sistematico dell’impalcatura di quel tipo di Modernità, sregolatasi nel corso del 900 lasciando però dietro di sé macerie materiali e soprattutto spirituali da imporre un lungo e faticoso processo di enracinement, nel senso avanzato da Simone Weil, ancora in corso e in cui siamo tutti coinvolti; per questo bisogna avere presente più che mai che ogni sano pensiero filosofico-scientifico messo in atto nel corso dei secoli ci ha portato in dote un fatto, ancora non del tutto metabolizzato nella nostra coscienza, che ‘le battaglie più decisive si combattono nel campo della filosofia teorica’, da dove poi derivano ‘implicazioni pratiche’ sul terreno concreto e nel nostro modo di fare, a dirla con Edmund Husserl e Martin Heidegger. In questi ultimi tempi abbiamo a disposizione il pensiero della complessità, o pensiero delle ‘nuove radici’ (La complessità: un pensiero delle radici sulla scia di Simone Weil, 13 giugno 2024) che, faticosamente conquistato, sta proficuamente stanando in ogni campo le logiche perverse dei vari riduzionismi messi in campo nella nostra storia; e la battaglia nel campo delle idee con la conseguente ‘riforma del pensiero’ non poteva non produrre effetti innovativi in altri settori come quello pedagogico anche perché i padri-fondatori delle scienze della complessità, col darvi una costante attenzione, ci hanno consegnato gli strumenti per liberarci dalle catene della logica del do ut des e dell’aut aut, a dirla con Heinz von Foerster.
Ed una volta ‘svegliati’, nel senso propostoci da Edgar Morin (Come ‘svegliarci’ grazie al fare nostri ‘i miei filosofi’ di Edgar Morin, 29 dicembre 2022), ci siamo avviati a dare spazio a dei percorsi di razionalità agapica, e convinti della necessità di cambiare paradigma coll’educarci a prendere atto dei diversi volti della complessità, si sta approdando alla logica dell’et et e delle ‘relazioni’ nei vari campi dell’umano ed in difesa di esso; ed uno di tali volti, incentrato sul ricco tessuto di relazioni da potenziare in ogni campo, ha trovato uno strategico spazio nell’ambito delle discipline pedagogiche come ad esempio nei lavori di Franca Pinto Minerva, impegnata da tempo nel confronto col paradigma della complessità e col farne il perno dello stesso statuto epistemologico delle scienze dell’educazione sino ad uno degli ultimi contributi come Governare l’età della tecnica. Il ruolo chiave della formazione, scritto in collaborazione con Franco Cambi (Milano-Udine, Mimesis 2023). Sulla scia di tali non comuni risultati viene a situarsi il percorso di ricerca di Isabella Loiodice, messo in campo presso l’Università degli Studi di Foggia dove dirige anche i Quaderni di ‘MeTis’ (Mondi educativi) e dove è venuto a formarsi, grazie all’impegno della stessa Pinto Minerva, un nutrito gruppo di ricercatori che hanno fatto della complessità la base di una ‘epistemologia pedagogica’, come ha scritto Giuseppe Annacontini, nel significativo volume a più voci, Pedagogia dalla sorgente (Bari, Progredit 2021).
Isabella Loiodice nel suo ultimo lavoro Differenze e prossimità. Riflessioni pedagogiche (Bari, Progredit 2023), che segue il discorso portato avanti col curare il volume Ripensare le relazioni intergenere (Bari, Progredit 2020), affronta, infatti, il cruciale problema di come recuperare “in primis il valore dell’educazione come relazione” alla luce del pensiero complesso visto come salutare antidoto al cosiddetto ‘pensiero sbrigativo’, uno dei lasciti della Modernità, inchiodato come viene chiarito sulla scia di Bauman al ‘momentaneo’ col rendere le nostre vite ‘vite di corsa’ con l’illusione di avere a portata di mano soluzioni rapide e veloci per ogni problema; per questo si ritiene strategico mettere in atto in ogni contesto processi di educazione e di “formazione” ad esso in quanto caratterizzato da continui incrementi col diventare “un paradigma che pone l’umanità di fronte alla necessità di imparare a leggere la complessità del reale per fronteggiarla con un corrispondente metro di misura (cognitivo ed emotivo)”. Tale volto della complessità, così delineato in quanto kantianamente fatto diventare un luogo di “intelligenza solidale”, permette di dare il giusto ruolo al “tessuto emotivo e solidale” che si viene a mettere in atto nella prassi educativa, coll’ergersi a una di “quelle àncore formative idonee al buon governo della contemporaneità”, che nel mostrare un “panorama chiaroscurale” è considerato “tempo dell’emergenza” e di transiti, piena di “ mille sfaccettature” e “popolata di differenze”; tali differenze di natura “culturale, generazionale e di genere” sono bisognose in primis di essere ”individuate” come tali per poi essere “analizzate” sulla base dell’”antinomia pedagogica uguaglianza/differenza”, in grado di generare nuove modalità di comprensione di quella che Edgar Morin a più riprese ha chiamato ‘l’ipercomplessità’ della condizione umana.
Per cogliere tale aspetto, Isabella Loiodice sviluppa una idea portante del percorso messo in atto da Franca Pinto Minerva, quella di ‘pedagogia dell’erranza’ che permette di fare debitamente i conti con la ‘formazione di identità nomadi, multiple’ e di ‘superare i generi e le classi’; in tal modo le stesse identità si rafforzano attraverso il riconoscimento della “ricchezza derivante dalla conoscenza dell’altro” in quanto l’umano viene a formarsi costitutivamente grazie al “rapporto dialettico tra uno e molteplice, tra particolarismo e universalismo, tra locale e globale”, proprio nel senso propostoci da Michel Serres, per poter arrivare a far risaltare “la nostra unicità e singolarità”. L’agapicità e la non violenza, implicite nel pensiero complesso grazie alle logiche dell’et et da costruire giorno per giorno nel consegnarci continue briciole che poi ne irrobustiscono i percorsi, permettono di comprendere un fatto esistenziale non di poco conto che “l’altro ci aiuta a delimitare il nostro stesso essere, a definirci e a riconoscerci”; così ‘l’erranza’ con le continue emergenze, frutto del ‘non mentire’ sulle ragioni del reale e sue ‘rugosità’ col loro pieno di ‘significati’ tutti da decifrare a dirla con Simone Weil accompagnati però da una “intelligenza solidale”, ci fa “vivere la differenza come risorsa e non come trappola, quale elemento costitutivo e connotativo della propria singolarità soggettiva e culturale”. Tale processo, sulla scia dei lavori di Maria Montessori e di Paulo Freire, è ritenuto, inoltre, fondamentale per mettere in atto “una pedagogia del corso della vita” e “attraverso le sue differenti età” per creare quel tessuto connettivo fatto di relazioni non solo con gli altri, ma anche “con le altre specie viventi”, per delimitare il ‘posto dell’uomo nella natura’ e costruire il suo stesso ‘futuro’ come un’unica ‘comunità di destino’, come ci ha insegnato Pierre Teilhard de Chardin.
E la non comune metabolizzazione delle istanze più generatrici del pensiero complesso ha portato poi Isabella Loiodice, quasi nel senso di Simone Weil, ad “abitare la contemporaneità attraverso la fraternità” e a mettersi in ascolto del ‘grido’ della complessità della vita, per usare un’espressione di Miguel Benasayag (Miguel Benasayag: un percorso in ascolto del grido della complessità della vita, 9 marzo 2023); essa fraternità è un lucido ‘grido’ lanciato da una umanità in allarme su più fronti, resasi responsabile del fatto che le sorti del mondo intero dipenderanno per la prima volta dalle sue decisioni, come ci ha insegnato Michel Serres. E pur pensata e coniugata con la libertà e l’uguaglianza, è la grande oubliée della migliore Modernità, come scrivono all’unisono Morin e Ceruti che la ritengono un giusto rimedio per fare fronte alle distorsioni della globalizzazione che ha creato in realtà ‘un’interdipendenza senza solidarietà’; e sulla scia delle indicazioni presenti nell’Enciclica Fratelli tutti, Isabella Loiodice la ritiene un uno strumento indispensabile per lavorare ad una “prospettiva della fraternità universale” in quanto si sta manifestando nei diversi settori dell’umano come vero e ‘proprio imperativo antropologico, etico e biologico’ nel senso avanzato dallo stesso Ceruti in un lavoro scritto a quattro mani con Francesco Bellusci. In tal modo, la stessa fraternità, nell’essere concretamente il volto della complessità, si rivela per Isabella Loiodice un formidabile antidoto allo “spettro della semplificazione” e porta con sé, se pienamente fatta nostra sul piano della razionalità e dell’intelligibilità orientate in senso solidale, sia il dialogo critico anche se spesso conflittuale tra saperi diversi liberandoli dalle ‘gabbie epistemiche’ come ha scritto Franca Pinto Minerva, sia un modo “per ripensare i rapporti tra scienza, tecnica e democrazia”, problema sempre più cruciale per la potenza raggiunta dalle nuove tecnologie; nello stesso tempo offre le basi nell’educarci “ad abitare la complessità del mondo per imparare a viverlo in modo nuovo e non autodistruttivo” e mette in campo “l’utopia pedagogica di una società fraterna ed empatica” nel farci capire “la complessità ecosistemica che regge il pianeta”.
Ed la sfida pedagogica torna ad essere centrale con le sue diverse poste in gioco per fare prendere atto in modo sempre più cosciente che la stessa pedagogia è una “scienza complessa”: scienza di nessi e di contaminazioni”, di ‘interferenze’ nel senso avanzato da Michel Serres come ogni scienza del resto; è a suo modo scienza au carrefour dei saperi per usare un’espressione di Jean Piaget, col mettere in moto un meccanismo euristico in grado di “coniugare paradigmi, linguaggi, metodologie di ricerca plurali e differenziati”. Ed in tal modo si presenta come “una pedagogia dell’impegno e della responsabilità” finalizzata ad essere “una logica e una pratica dell’altruismo” per combattere “la logica del nichilismo auto ed etero-distruttivo”; e per questo si ritiene necessario investire in continui “processi di formazione”, e nell’andare “a scuola di fraternità” si mettono in atto dei meccanismi di natura relazionale che coniugano “la consapevolezza delle proprie emozioni” con la loro “interferenza con i processi cognitivi”, dove “ragione ed emozione” si incontrano e “dialogano al loro interno attraverso l’interlocuzione con l’altrui tessuto emotivo e cognitivo”. La scuola, così, diventa un laboratorio esistenziale-cognitivo in divenire dove nel “progettare il futuro” si arriva ad “investire in fraternità”, dove “la relazione educativa” si presenta come un “dono reciproco” col “dare e il ricevere”; in essa si sperimenta così una forma di fratellanza nel far comprendere “l’interconnessione che governa l’intero universo” e nello stesso tempo si coltiva in modo concreto il fatto che essa sia una “nuova forma di saggezza dell’umanità contemporanea” da perseguire con tenacia.
Isabella Loiodice in Differenze e prossimità non solo offre gli strumenti euristici per avviare un percorso quasi di ridefinizione delle scienze dell’educazione alla luce del pensiero complesso, ma ci mette di fronte alla nostra responsabilità nel far capire la necessità di adottare “un approccio fraterno” in ogni contesto da estendere a tutti “i sistemi viventi che abitano la Terra”, anche perché è ritenuto strategico come “l’unica condizione adeguata a garantire la qualità della vita e la sopravvivenza stessa dell’umanità e dell’intero pianeta”. Il suo è un costante invito se non un obbligo ad investire in una ‘nuova Paideia’, sulla scia delle indicazioni di Mauro Ceruti, per comprendere l’inscindibile ‘legame di ogni cosa con ogni cosa’, ‘l’indivisibilità e nello stesso tempo la pluralità dell’umanità’; e questo può aiutare ad uscire dal ‘duplice impasse’ in cui siamo attanagliati come ci avverte Edgar Morin: ‘l’impotenza del mondo a diventare mondo e l’impotenza dell’umanità a diventare umanità’. Interrogarsi su questo impasse, e cercare di dare una risposta il più possibile ‘esatta’, se siamo ‘in grado di farlo’ come ci ha ammonito Victor Frankl, è anche un modo per evitare di versare future ‘lacrime’ che in genere si versano per non essere stati abbastanza lesti nel comprendere e ‘vedere meglio’ le cose che ci circondano, per parafrasare Henri Lacordaire.