Un percorso in ascolto del grido della complessità della vita

Da più parti in questi primi decenni del XXI secolo si sta imponendo sempre più la necessità  di un radicale ‘rinnovamento  del pensiero’, esigenza  sentita in modo profetico ed in tutta la sua pregnanza teoretica ed esistenziale da Franz Rosenzweig in un’opera del 1925 Il nuovo pensiero, dove il pensare viene visto già in funzione di qualcuno in carne ed ossa, un ‘qualcuno che ha una bocca’ e per dare voce più veritiera al proprio ‘tempo’;  in tal senso si è messo ‘sulle tracce del grido’ della vita, per parafrasare il titolo del recente volume Il grido (Roma, Città Nuova 2022, a cura di A. Clemenzia e M. Martino), Miguel Benasayag, singolare figura di psicoanalista ed insieme epistemologo, in La singolarità del vivente (Milano, Jaca Book 2021, con prefazione di  J.M. Besnier e postfazione di G. Longo), opera di notevole spessore epistemico nel denunciare i riduzionismi di varia natura che si impongono al vivente. Ma per capirne meglio la genesi e lo spirito di fondo sono da tenere in considerazione altri scritti come Malgré tout  del 1980, dove si racconta “a bassa voce” la sua vita in prigionia  durante la dittatura nelle carceri argentine,  e  Parcours del 2001 dove si espongono delle esperienze di vita maturate nel ‘Collectif Malgré Tout’ insieme ad altri e si tracciano delle piste per meglio comprendere le diverse epocali sfide che ci attendono; tali scritti sono stati significativamente messi  insieme in traduzione italiana nel volume Malgrado tutto. Percorsi di vita (Milano, Jaca Book 2022). Accompagnati da un illuminante dialogo con  Teodoro Cohen,  chiariscono meglio il suo particolare engagement nel sociale con la necessità di costruire “una controffensiva contro i punti cardinali” delle forme di potere oggi in auge; ma questo richiede abbattere le mura di un certo ‘io’, tipico “del neoliberismo post-moderno”  che ha fatto ritenere “immaginario” tutto ciò che va al di là della singola persona,  per ricostituire un “noi” grazie alla presa di coscienza  di essere insieme “tutti imbarcati” ed immersi nei problemi del mondo e nei suoi ‘strazi’ nel senso avanzato da Pierre Teilhard de Chardin.

Inoltre da psicoanalista, Miguel Benasayag si è occupato in particolar modo di problemi legati al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza e così, come diceva Gaston Bachelard (Dialogo sulla ricerca di senso in terapia esistenziale, 11 novembre 2011), è entrato in singoli vissuti con l’avere sempre  a che fare con ‘casi nuovi’ di più generazioni di giovani che si sono visti scippare  quello che chiama “il futuro-promessa” dopo il venir meno dei miti di certa modernità e approdare ad un “futuro-minaccia” col trovarsi così in uno stato di “impotenza e di disgregazione”; tali situazioni  sono state ben  descritte nel volume del 2003 L’epoca delle passioni tristi, scritto insieme a G. Schmid, sulla scia di Spinoza che affermava che sulle cose umane non va né riso né pianto, ma solo mettersi in stato di comprensione e di umile ascolto.  Queste diverse modalità  di cogliere il grido della vita nelle sue diverse articolazioni e soprattutto senza mentire su di essa, per usare un’espressione di Simone Weil,  lo ha portato a prendere in considerazione quelli che vengono chiamati significativamente “punti di rottura”  della situazione odierna che necessitano, pertanto, di una diversa atmosfera concettuale per essere colti come tali; come viene chiarito nel dialogo con Teodoro Cohen, fare debitamente i conti con essi  è ritenuto strategico per preparare l’avvento di un nuovo tipo di pensiero-azione  derivante dall’“incontro con la complessità che implica l’emergenza di nuove soggettività… e richiede oggi di pensare e sperimentare una re-articolazione dell’umano e del pensiero con l’insieme (in primis del vivente)”.

Non è dunque un caso che i due autori pur di formazione diversa, sia della prefazione che della postfazione a  La singolarità del vivente, evidenziano come il percorso messo in atto da Benasayag sia un costante  ‘appello alla resistenza’ per vivere appieno  “l’epoca della complessità” considerata “nuova epoca di re-individuazione” con un suo specifico e conseguente ‘travaglio di concetti’ a dirla con Federigo Enriques; ciò comporta la rinuncia a vedere “l’umano-soggetto” che agisce quasi indisturbato sul “mondo-oggetto a sua disposizione” e l’idea di ripensarlo come “un vettore tra i vettori di un sistema multiagente” sino a fare nostro il fatto ormai incontrovertibile che “se  soggetto c’è, è la situazione intera e non uno dei suoi elementi”. Come diceva Gaston Bachelard in un’opera del 1934 dal significativo titolo Le nouvel esprit scientifique dove si delineano dei nuovi ‘vettori epistemologici’ e tra questi appunto il vettore della complessità già intravisto nelle pieghe delle scienze del suo tempo, quando il soggetto si incontra e si scontra con l’oggetto si producono dei veri e propri progetti che cambiano in modo strutturale il modo di vedere il mondo e di agire su di esso. Sentire ed incontrare nella loro cogenza i segni del nostro tempo per Benasayag è trasformare il peso della loro complessità in un progetto epistemico pluriarticolato in grado di mettere da parte “le individuazioni dominanti della Modernità occidentale” e di lavorare nello stesso tempo ad un processo di una “re-individuazione generale”.

Vengono ritenuti a tal fine strategici alcuni risultati scientifici come i lavori di Francisco Varela sul suo approccio ‘enattivo’ ai fenomeni della vita e quelli sull’intelligenza delle piante da parte di Stefano Mancuso che hanno portato ad un radicale “cambiamento tassonomico con la decostruzione delle vecchie identità”, che “non riguarda solo l’essere umano”; ma in genere le diverse scienze biologiche hanno il compito per Benasayag di mettere in primo piano l’irriducibilità del vivente ad algoritmi, il fatto che “i corpi esistono”, “la radicale differenza tra organismo e artefatto” come viene ben chiarito nei primi capitoli de La singolarità del vivente, volume che pone come urgente la necessità di comprendere le diverse minacce derivanti dall’alienazione tecnologica, dalle illusioni “pan-informatiche” e dai processi di dematerializzazione. In tale opera si continua un percorso filosofico-scientifico di lotta e di “resistenza creativa” per mettere in campo delle “nuove radicalità”, programma di ricerca iniziato in opere precedenti come  Resistere è creare  del 2002 e  Per una nuova radicalità  del 1997 (Milano, MC Editrice 2004 ed Il Saggiatore 2004). E allo stesso engagement epistemologico viene assegnato il compito primario di tenere ben chiari i confini tra le diverse forme di vita e le macchine con il loro costruire artefatti e con la  pretesa di scomporre e di riprodurre gli organi, di ridefinire  e di “pensare gli invarianti propri del vivente” che “si sottraggono a qualsiasi modellizzazione” e che, se ben individuati come funzionali e strutturali, non permettono di fare qualsiasi cosa con ciò che ha vita  col suo pieno di storia non frazionabile.

Prendere poi atto della ‘singolarità del vivente’ significa di fatto fare i conti con la sua “unità” di fondo in quanto per Benasayag, avendo collaborato con Varela, al suo interno il complesso non è mai la somma delle sue parti, ma il frutto di costanti interazioni e retroazioni dove le stesse molecole agiscono in virtù di un processo di “doppia costrizione” epigenetica col loro essere soggette insieme sia al loro funzionamento endogeno che alle limitazioni dell’organismo entro cui prendono forma. Il suo, pertanto, è un grido a favore dell’estrema ricchezza e dell’”infinita diversità  della vita” che è un basilare “fenomeno di contesto” dove il tutto non è scomponibile  a forme elementari ed isolabili rispetto agli artefatti tecnologici che cercano di imitarla in un “mondo di Lego” col farle perdere le interazioni con l’ambiente; una visione puramente quantitativa della biologia molecolare, abbinata al “riduzionismo fisicalista oggi dominante”,  e lo sviluppo delle tecnologie digitali, che permettono di ”mappare le funzioni cerebrali, biologiche, fisiologiche”, fanno perdere di vista “le singolarità proprie del mondo biologico”, le mutilano col restringere “le nostre stesse possibilità di agire e di amare, di desiderare e di pensare”.

E nel mettere in atto una forma di ‘resistenza creativa’ contro l’alienazione tecnologica, Benasayag non poteva non approdare anche alla necessità di un nuovo linguaggio che a sua volta si deve liberare dal vecchio significato dei termini con l’inventarne dei nuovi  per non costituire un vero ostacolo epistemologico, a dirla con Gaston Bachelard, se imbevuto di ideologie riduttive nella comprensione delle dinamiche del mondo della vita; e non a caso, anche grazie alla sua immersione nelle opere di Cervantes, Artaud, Proust e Borges per raccontare l’odissea della vita  e combattere i processi di semplificazione tecnologica, si inventa un termine come “Mamotreto”, considerato da Besnier nella prefazione quasi l’equivalente della ‘roba’ di Giovanni Verga, per indicare la vita come un intreccio di più fattori, aperta a più possibilità, dotata di imprevedibilità. Tale termine, che ai puristi del linguaggio può sembrare esoterico, è un modo per pensare in modo particolare il pullulare della vita, “il campo biologico fatto  di permanenti interconnessioni e interrelazioni” e le proprietà dei corpi viventi che si manifestano solo ‘attraverso rapporti di reciprocità organica’ e che cessano di esistere se si isolano gli uni dagli altri, come già aveva indicato Claude Bernard nel 1865 nella sua Introduzione allo studio della medicina sperimentale. Con tale strano termine si mette in atto “un  tentativo di dare risposta a questa sfida centrale del nostro tempo”, quella di “fornire una cornice razionale all’evocazione di una dimensione propria del vivente” e di “porre le basi teoriche di un nuovo modello organico in grado di evocare il funzionamento del vivente inteso come un insieme aggregato e non riducibile agli elementi e ai processi da cui è composto”; si riesce a dare  forma concettuale alla singolarità del vivente per coglierne i diversi livelli e nuances, per “pensare gli invarianti propri del vivente” ed i suoi meccanismi dove “ogni parte integrata in un organismo è alla base della sua radicale differenza rispetto a qualsiasi aggregato o artefatto” e dove “gli esseri viventi si auto-costruiscono attraverso la storia”.

Con l’aiuto poi dei lavori di Ilya Prigogine e di altri più recenti sulla singolarità del vivente da parte di Giuseppe Longo e altri, Miguel Benasayag   offre un percorso teso a liberarci da certi miti imperanti imperniati sulla “possibilità di una modellizzazione ‘completa’ di qualunque processo biologico”, poi catturabile in base alle informazioni raccolte e reso “consistente” con elementi non contraddittori al suo interno per poter renderlo manipolabile “a piacimento” col dare così spazio all’”antico sogno  di superare la fragilità della carne”. Il suo sforzo  offre, pertanto, un sano percorso che ci mette di fronte  ai pericoli di quella che chiama “la doxa attuale” dove “tutto è informazione con la possibilità di identificare e modellizzare ogni cosa”; nello stesso tempo è un invito a resistere alle tentazioni post-umaniste proprie della “metafisica tecnologica: quella di concepire una vita senza corpo e infinita”. Ma come ogni sana riflessione epistemologica lontana da posizioni normative, La singolarità del vivente si presenta come una accorta navigazione “nel solco della mirabile tradizione dei risultati negativi di Poincaré” col farci prendere coscienza “dell’esistenza dei limiti, del non calcolabile, del non dimostrabile” senza che ciò significhi “la sconfitta del sapere, anzi la fonte  e la condizione stessa del sapere” o ritorno a punti di vista non scientifici e all’ignoranza; quest’opera, pertanto, pur presentandosi  come una lotta ed una continua  resistenza contro ogni forma di riduzionismo poi non a caso utilizzabile a fini ideologici, è una non comune immersione in quella che viene chiamata “razionalità biologica” col suo forte grido  teso al fatto che non si possono modellizzare “le tracce e gli eventi del divenire storico  che comprendono l’aleatorio, la variabilità o ancora la diversità, vale a dire la parte ‘intensiva’ organizzatrice degli esseri viventi”.


Articolo precedentePuglia da mangiare – #1 Fave e cicoria
Articolo successivoMeloni pianta dosi
Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.