
Quelle maestre, le loro mani, le loro gambe, una classe, quattro ruote, un solo cuore
«La vita è una tempesta, mio giovane amico. In un momento potrete scaldarvi al sole, in uno successivo andare a frantumarvi contro gli scogli. Che cosa vi rende un uomo, è ciò che si fa, quando arriva quella tempesta»
(Alexandre Dumas)
C’era una volta un bambino che frequentava la quinta elementare. Era periodo di pandemia mondiale, le scuole elementari erano aperte e la sua classe era riuscita ad arrivare a Natale senza dover essere messa in quarantena …quasi a Natale, mancavano due giorni, c’erano quasi.
Avevano preparato i lavoretti e li avevano lasciati a scuola perché decantassero: li avrebbero portati a casa l’ultimo giorno prima delle vacanze, in totale sicurezza.
Venerdì sera, il week end era giunto, lunedì e martedì sarebbero stati quegli ultimi due giorni normali e felici in un momento che di normale non aveva nulla. Il sabato mattina quel bambino, poiché avrebbe dovuto passare il Natale con la nonna, pur stando benissimo era stato sottoposto ad un tampone di controllo: meglio essere certi non ci fossero tracce del virus, anche in assenza dei sintomi.
Del resto andava tutto bene, come si stessero tutti scaldando al sole… ma la vita è una tempesta. La domenica il risultato del tampone: positivo. Un fulmine improvviso, il delirio e la catena della pseudo morte: allertata la Regione, allertata la ASL e, soprattutto, allertata la scuola.
Improvvisamente da “ce l’abbiamo quasi fatta”, tutto si era tramutato in: “è il nostro turno, non ci siamo riusciti”. La classe che lunedì si preparava a chiudere in bellezza, veniva immediatamente posta in Didattica a Distanza: di domenica sera una celerissima ed encomiabile Dirigente Scolastica prendeva in mano le redini di una tempesta imprevista e senza perdere un solo minuto faceva tutto quanto era in suo potere per proteggere la salute dei bambini e garantire il loro diritto allo studio. Le famiglie scombussolate mettevano a disposizione la massima collaborazione: due giorni di lezioni davanti a un computer, ma poi ci sarebbe stato Natale.
E invece no, non ci sarebbe stato. Il 2020 aveva una caratteristica: appena poteva rendere tali le catastrofi, lo faceva. Ecco così arrivare l’ordinanza restrittiva. Ognuno di quei bambini era ufficialmente isolato fino ai primi di gennaio. In ventiquattro ore il Natale di decine di persone saltava… di decine di nonni, fra quelle persone, perché in quella pandemia i nonni erano non solo i più colpiti nella salute fisica, ma anche in quella emotiva, tenuti lontani da tutto e da tutti.
E poi i bambini: “per colpa mia…” era frase ridondante e non c’era verso di uscirne.
Bene, avrete notato che ho citato famiglie, Regioni, ASL, Dirigente… e le insegnanti? No, loro in effetti le ho saltate a piè pari fino ad ora e la scelta non è stata casuale. Avevo già parlato di queste stesse donne all’inizio del delirio 2020 ed ora lo rifaccio, perché se è vero che ciò che ci rende uomini è quello che si fa quando arriva la tempesta, allora in questo caso sulla terra sono arrivati gli angeli.
Potrei dirvi che al momento della domenica quelle insegnanti, infischiandosene come tutti del fine settimana e del diritto alla disconnessione erano prontissime a far partire le procedure per i loro bambini, potrei dirvi che al momento opportuno avevano tenuto le loro improvvise lezioni a distanza con un’organizzazione impeccabile senza mai mollare la presa, potrei dirvi cose che seppur non siano scontate, in pandemia dovrebbero esserlo… beh, ve le dico, ma non è questo il punto.
Delle donne si sono viste portar via la loro classe durante una domenica qualunque, a ridosso della “vittoria almeno prima di Natale”; delle donne hanno evidentemente patito il peso dei pensieri di ciascuno dei loro bambini perché è chiaro che li conoscano come le loro tasche.
Per delle donne, il 23/12/2020 sono iniziate le tanto agognate “feste”: agognate poiché necessarie. Insegnare in pandemia ha un non so che di eroico, perché credetemi, la pandemia ha scatenato un vero inferno dietro le quinte organizzative e un mese così, può equivalere a dieci mesi dei bei tempi ormai andati.
E delle donne prendevano il loro primo giorno di festa e lo rendevano dono: “Ecco qui le vostre tre Babbe Natale, o forse solo Babbe, o Befane”… iniziava così il loro video con gli occhi commossi e fortissimi, appena visibili dietro alle mascherine con i cuoricini rossi.
Cosa stavano facendo? Le consegne! Si erano messe in auto ed avevano raggiunto una ad una le case dei loro alunni isolati. Senza avvicinarsi e senza creare alcun rischio, avevano così fatto in modo che ciascuno di loro avesse quel lavoretto lasciato a scuola e preparato con la cura che si deve ad ogni vero regalo.
Ma soprattutto avevano fatto in modo che quei bambini, totalmente scombussolati da un turbine arrivato in pochissime ore, avessero ancora una volta un abbraccio vietato sulla pelle, ma mai impedito nel cuore.
Il bambino del tampone positivo era mio figlio.
I bambini più fortunati della terra erano quelli della sua classe: quella 5’B del 1’ Circolo Didattico di Domodossola, le scuole Milani. Un nome, una garanzia.
Tutti loro avevano incontrato una benedizione: nella loro vita scolastica delle insegnanti che, diciamocelo a chiare lettere, sapevano, sapevano fare e sapevano essere.
Quelle maestre, le loro mani, le loro gambe, una classe, quattro ruote, un solo cuore.
Era Natale… e a Natale si può fare di più! Anche nel 2020.
Grazie maestre, sappiate che le vostre aureole si vedono e le vostre ali profumano di buono.